martedì, novembre 23, 2010

Capitolo 5 - Lillian inizia un progetto

Passeggiando sul Millennium Bridge, Lillian ascoltava Mills parlare con entusiasmo del progetto e delle sue idee al riguardo. Era contenta di vederlo così soddisfatto e interessato alla cosa, dopo mesi passati in totale chiusura, dopo la sparatoria al Piper’s Dream.

Anche per lei quel periodo non era stato semplice: per quanto avesse sempre dovuto combattere per qualcosa che riguardasse il suo non essere umana, affrontare persone disarmate era stato sì doloroso, ma sicuramente di impatto minore rispetto all’essere in mezzo ad una sparatoria, per quanto rapida, causata proprio dal fatto di essere una morfa.

Accadeva ormai da anni, e sicuramente in passato le azioni contro i morfi erano state più dolorose, sanguinose e frequenti rispetto a quel periodo; ora che poi gli Human Race Supporters possedevano un seggio alla Camera dei Lord, non potevano più supportare ufficialmente questo tipo di azioni, che quindi si erano fatte più sporadiche ma non per questo meno pericolose.

E lei sapeva benissimo che Mills non era così sicuro di sé come mostrava: era piuttosto un cane molto timido, incline a farsi dominare dai giudizi degli altri riguardo ogni aspetto della sua vita; uno dei motivi per cui fra i due si era stabilito un legame così solido era in effetti perché lui era certo del fatto che la tasso non avrebbe mai giudicato nessuna delle sue scelte, rimanendo consigliera nel caso del bisogno ma mai veramente “giudice,” al contrario di molti altri. La sparatoria nel locale di poco tempo prima lo aveva veramente abbattuto: si era chiuso in sé, limitando le uscite dal suo appartamento al minimo necessario, solo per recarsi al lavoro, comprare le poche cose che gli servivano per mantenersi e ogni tanto mostrare ai suoi amici di esistere ancora. Aveva persino smesso di scrivere sul suo blog, attività che solitamente seguiva con assiduità e regolarità.

Ma da quando Lillian gli aveva proposto la sua idea per una nuova band, Mills sembrava rinato, almeno in parte. Lei era cosciente di quanto fossero simili sotto quell’aspetto: entrambi amavano la musica, parte fondamentale nella loro vita in un modo o nell’altro, e avrebbero fatto carte false pur di poterla vivere in qualche modo. Mills, in particolare, adorava la sua batteria, il suo suono, il poterla usare per dare ritmo e per vivere il ritmo; le bacchette erano diventate parte integrante della sua vita al punto che le portava sempre con sé e le batteva su ogni superficie possibile mentre era sovrappensiero, ripetendo ritmi ormai consolidati nella sua mente in modo quasi meccanico e sempre comunque preciso.

Su una cosa il cane si sentiva carente: pensava di non avere capacità compositiva. Aveva ogni tanto confessato alla sua amica di voler comporre ritmi e canzoni di suo pugno, ma che ogni suo tentativo era andato sistematicamente a vuoto: si trovava davanti a strumenti, spartiti e quant’altro sempre con la mente incredibilmente vuota, per quanto dentro di sé sentisse questa necessità, questa voglia impellente di far uscire una sensazione, una emozione. Ogni volta, Lillian gli aveva semplicemente replicato che l’unico modo per farle uscire era di lasciare che fossero queste a bussare alla sua testa, al suo cuore, senza mai forzarsi. Ovviamente, Mills non era mai riuscito a seguire i suoi consigli.

Lillian si appoggiò al corrimano, raggiunto il centro del ponte, e si sporse a guardare le imbarcazioni sul Tamigi. “Tutto bene, Lilly?” chiese Mills.

“Sì, Mills. Sono solo… pensosa.”

“Hai almeno ascoltato quello che ti ho detto?”

Lillian gli rivolse uno sguardo torvo. “Certo che ti ho ascoltato, Mills.”

“Scusa, non volevo offenderti.”

“E’ che… il progetto è fantastico, ci credo molto, sono felice che tu sia coinvolto come me nella cosa e tutto il resto, ma… non ci sono ancora le basi. Non sappiamo ancora cosa suoneremo, con che stile e tutto quanto, e stiamo qui a cianciare di quali canzoni usare per le esibizioni e quant’altro. Mills, non abbiamo nulla, dobbiamo ancora costruire ogni cosa, ogni minimo…”

“Lo so, Lilly, lo so. Ne sono dolorosamente cosciente, ma non penso che deprimersi sia una soluzione al problema,” le disse lui, mentre il vento iniziava a soffiare, scompigliandogli la pelliccia sul collo.

“Non dico di deprimersi, solo di fare piccoli passi. Passo dopo passo, prima le basi poi il resto. I castelli in aria sono belli, ma prima o poi devono avere delle fondamenta, altrimenti rimangono fatti d’aria.”

“Va bene, mia saggia signora,” fece Mills, posandole una mano sulla spalla. “Da dove iniziamo?”
“Troviamo un modello,” disse Lillian.

Quella sera, Lillian era in casa, seduta al suo computer in pigiama in compagnia di una tazza di camomilla fumante addolcita con un cucchiaio di miele. Il resto di una semplice cena cinese take-away giaceva sul tavolo della cucina, pronto per essere gettato da un momento all’altro.

L’appartamento di Lillian era piccolo, ma ammodernato di recente. Ogni sua parte era stata rimessa a nuovo: pareti ritinteggiate di rosa salmone su cui la morfa aveva dipinto con stencil a forma di pesci, mobili economici in legno o acciaio o plastica a colori pastello, pentole e stoviglie acquistate da meno di sei mesi… Era per questo motivo che la tasso l’aveva scelto, oltre che per le modeste dimensioni, che lo rendevano più veloce da rassettare in qualsiasi momento. Nella stanza da letto, l'ambiente più grande dell'appartamento, un letto a due piazze con due enormi cuscini rosa e rossi, una scrivania con il suo portatile, una ampia scaffalatura ingombra di libri, album, CD, DVD e mille altre cose più o meno utili e un armadio con abiti e scarpe. Cc’erano due giacche diverse appese sulla poltrona alla scrivania, tre paia di scarpe sotto il letto e i vestiti del giorno sparsi alla rinfusa sulle coperte; ma il resto delle cose era, più o meno, al suo posto.

L’unica luce era quella del monitor, acceso sulla pagina di Facebook di Lillian.

Jeffrey Morrissey: Lilly, questa roba la devi sentire ad ogni costo: http://www.youtube.com/watch?v=cZCECTQgJQw

Lillian cliccò sul collegamento, fece partire il video e lo guardò, continuando a bere la sua camomilla. Al termine del video, posò la tazza e prese il cellulare.

Lillian: Mills! Mills! L’ho trovato!

Al Campfire Tales, quella sera, Lillian alzò il suo bicchiere di birra. “Vorrei proporre un brindisi a tutti. Oggi ho una cosa seria da festeggiare,” disse agli altri morfi seduti al loro solito tavolo.

Claire la imitò, facendo tintinnare nel movimento il braccialetto contro il vetro del suo. “Ci sto. Ma a che si brinda?”

“Ai Quintorigo.”

“Che roba è?”

“Ieri sera mi hanno fatto vedere questo video. E’ di un gruppo italiano, un misto di jazz, rock e pop. Il video è quello della cover di un gruppo dell’Europa centrale, musica elettronica. Be’… quando l’ho visto ho capito che il nostro nuovo gruppo suonerà questa musica, avrà questo sound.”

“Ma quale?”

“Un ibrido, un misto fra rock, jazz e pop. Con questi ritmi faremo le nostre cover. Perché noi siamo morfi: siamo diversi dagli esseri umani, siamo unici ma non siamo degli alieni. Siamo solo diversi, e il modo di suonare del gruppo rifletterà questa cosa.”

Francine si unì al brindisi alzando il suo bicchiere di analcolico. “Sono con voi. L'idea è adorabile.”

“Anche io,” disse French con il suo.

“Ma Mills dov’è? Perché non è qui con noi a festeggiare?”

“Perché è a casa con la febbre.”
“Be’, allora festeggio io per lui,” fece Claire.

“Al nuovo gruppo!” intonarono i quattro attorno al tavolo.

“Quale gruppo?” disse una voce alle loro spalle. Claire e Lillian si voltarono, giusto in tempo per vedere l’allampanato Randolph venire verso di loro. “Ciao ragazzi!”
“Randolph!”

“Come mai sei qui?” chiese Claire.
“E’ il mio locale, mi sembra il minimo. Ho sentito parlare di un gruppo,” disse poi, rivolto a Lillian. “Che gruppo?”

“Lillian e Mills stanno cercando di mettere su un gruppo fatto solo di morfi,” la precedette Francine.

“Bello, mi piace. A che punto siete? Ci sono già tutti i componenti?”
“A dire il vero siamo solo io e Mills, per ora. Dobbiamo ancora scegliere molte cose.”

“Il mio numero ce l’hai, Lilly. Voi portate la musica, io ci metto il locale per la vostra prima esibizione.”

Lillian lo squadrò, perplessa. “Sei serio?”

“Perché non dovrei? Lilly, lo sai che il mio locale vive anche sulle spalle di voi morfi, no? Siete il mio pubblico, è giusto che vi… coltivi, dopotutto. E poi l’idea è fica, non ho mai visto dei morfi suonare insieme, sarebbe la prima volta, credo, o no? Per cui, cazzo, perché non dovrei?”

Lillian lo abbracciò. “Sei un tesoro!”

“Sì, fai piano, Lilly, alle costole ci tengo ancora…” bofonchiò Randolph, nella stretta della morfa.

“Toc toc...” disse Lillian, bussando alla porta della stanza di Mills.

“Lilly?” rispose questo, trascinando ogni lettera. “Perché sei qui?”

“Tua madre mi ha aperto la porta e mi ha detto che forse stavi dormendo, ma mi ha chiesto di svegliarti perché è ora di cena.”

“Non ho fame...”
“Stai malissimo, Mills,” disse, sedendosi accanto a lui sul letto.

“Lo so. Grazie. E starai male pure tu, se starai qui...”

“Ma io non ho problemi, e tu sei un amico che ha bisogno di compagnia. Guarirai prima,” disse Lillian. “Quel poster è nuovo?” domandò, indicando un poster con una foto del vecchio gruppo di Mills durante un precedente concerto. La band posava in piedi davanti agli strumenti, i membri illuminati da una forte luce dall'alto. Mills e il cantante erano gli unici due morfi, e il cane era senza dubbio il più alto di tutti.

“No, l'abbiamo... fatto fare sei mesi fa. Più o meno.”
“Ma non l'avevi mai appeso.”

“Lo so. L'ho appeso l'altro ieri.”

“Perché?”

“Perché ho deciso che quando suonerò nel nuovo gruppo lo farò anche per Corey,” disse, alludendo al cantante, morto nella sparatoria della loro ultima esibizione. “Lui avrebbe voluto.”

“E' giusto così. Bravo. Hai preso le medicine?”
“Le devo prendere dopo cena.”

“Visto? Ti sento già più vispo.”

“Hai ragione.” Mills la guardò, ancora avvolto nelle lenzuola bianche del suo letto. “Grazie, Lilly.”

“Di cosa?”

“Per essere venuta a trovarmi. Magari avevi da fare.”

“Non dirlo nemmeno per scherzo, Mills. Sono tua amica, mi sembra il minimo, no? Ti voglio bene, voglio che tu stia bene. Ora, però, devi alzarti e andare a cenare, così ti passerà subito la febbre.”

Lillian chiuse il libro, lo ripose sul suo comodino e spense l'abat-jour. Ma non riuscì ad addormentarsi subito, sebbene la giornata fosse stata lunga e bella.

Era ancora emozionata: ora lei e Mills avevano una base comune, avevano qualcosa su cui costruire il loro gruppo. L'idea la rendeva felice, per mille motivi: perché aveva contribuito a tirare fuori l'amico dal suo guscio, perché avrebbe potuto cantare ed esibirsi, cosa che la elettrizzava e un po' la spaventava, perché perché avrebbe potuto rispondere alle provocazioni degli Human Race Supporters in modo elegante, perché Randolph li supportava e li avrebbe aiutati...

L'esperienza sembrava essere nata sotto tutti i migliori auspici, e lei non si sarebbe sottratta a nulla. Certo, però, che l'idea di esibirsi di fronte a tutti la faceva sentire piuttosto a disagio, benché non come quella di posare nuda. Forse era quello, si disse, a tenerla sveglia quella sera: non capiva perché, nonostante avesse affrontato la prova della matita e del carboncino, degli occhi di estranei che potessero vedere il suo corpo così come lo vedeva lei nella sua vasca da bagno tutte le volte, in modo così intimo, privato e non privo di imbarazzo, non riuscisse ad affrontare quella del pubblico e dell'esibizione canora. Sapeva suonare e cantare bene, e il fatto che l'istituto di musica l'avesse accettata come educatrice di Ivan Matheson ne era un'ulteriore prova, ma c'era ancora qualcosa che la frenava.

Si ricordò allora del discorso che Francine le aveva fatto, a casa sua, poco tempo prima. Sui disegni, sull'amarsi e su quanto lei si considerasse bella. Avrebbe voluto avere la sua sicurezza, la sua capacità di volersi bene per ciò che era. Cosa la frenava da questo punto di vista?

Lillian accese la luce, mise gli occhiali e si alzò dal letto. In ciabatte e pigiama andò allo specchio e si guardò. “Cosa vedi?” disse a voce alta. “Vedo una morfa,” si rispose. “Una morfa matta che sta parlando con se stessa allo specchio. Una morfa in pigiama, che vorrebbe dormire ma non ce la fa perché è insicura. Ecco, vedo una morfa insicura, che vorrebbe avere la forza di fare mille cose, smuovere mari e monti e la trova solo ogni tanto. E' ora di cambiare questa cosa, Lillian Edgecombe,” concluse. Quindi si tolse il pigiama, rimanendo con occhiali e ciabatte. “Cosa vedi, ora? Vedo una morfa nuda, con il culo grosso e un rotolo che non va bene... Ma non va bene per chi? E grosso per chi? Per gli altri. Ma io sono gli altri? No! Io sono Lillian Edgecombe! Io lo sono, non quelli che mi guardano per strada. Solo io. E io sono questa morfa che sta allo specchio, che parla da sola come una pazza e che se ne sta nuda a mezzanotte quando dovrebbe dormire perché ha bisogno di trovare sicurezza in se stessa. E ti dico che a me questo riflesso tutto sommato non fa schifo, quindi non vedo perché non debba essere in grado di affrontare queste cose a viso aperto. Non è giusto che la gente mi domini in questo modo. La via è mia, cazzo,” concluse. Quindi si mise nuovamente il pigiama e tornò a letto.

Si addormentò poco dopo, col sorriso sulle labbra.

La mattina dopo, su Facebook:

Lillian Edgecombe: Buongiorno a tutti. Ho passato una nottata strana. Forse qualcosa è cambiato, ed è cambiato per il meglio. Ora scappo, devo volare in istituto per delle questioni della massima importanza. Ma voglio dirvi che Lillian Edgecombe si piace.

Kevin Clarken: Messaggio troppo criptico per quest'ora del mattino, Lilly.

Herman Belgian Lasseter: Piacersi è giusto! L'opinione degli altri non può contare così tanto nella nostra vita. Brava Lilly!

Claire Hogarth: Questo vuol dire che domani verrai a fare shopping con me?

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