domenica, novembre 28, 2010

Capitolo 6 – Lillian sale di livello

Pioveva a dirotto, e l’ombrello di Lillian aveva lasciato gocce ovunque nell’ingresso dell’istituto di musica, che non aveva un portaombrelli a disposizione. Come la prima volta, era sola nella sala d’attesa. Quando la segretaria la chiamò, Lillian si diresse con maggior decisione verso l’ufficio delle direttrici.

Solo la signora Ashcroft era presente quel giorno. L’attendeva, come la volta precedente, dietro la sua scrivania. Davanti a lei, però, stavolta erano presenti due raccoglitori, visibilmente ricolmi di fogli e di documenti.

“Salve, signorina Edgecombe,” la salutò la donna. Lillian rispose al saluto, e si sedette a sua volta. “Ho ricevuto la sua email, e ho pensato subito che fosse arrivato il momento di farle fare un salto in avanti.”
Lillian annuì. “Grazie, signora Ashcroft.”

“Non ringrazi me,” replicò l’altra. “Ma il signor Matheson.”
“Prego?”

La donna aprì uno dei due raccoglitori, cercando e porgendole quindi un blocco di fogli tenuti assieme da una voluminosa graffetta metallica. “Non so se ne sia mai stata informata, ma il nostro istituto conduce indagini molto, molto meticolose su clienti e docenti, prima e dopo l’assunzione. Questa indagine viene condotta per valutare le potenzialità degli alunni, la loro responsività all’insegnamento e il modo in cui la loro istruzione musicale venga curata dai docenti privati. Abbiamo sempre avuto ottimi responsi dopo l’assunzione di questo metodo d’indagine, che ci ha consentito sempre di individuare ottimi insegnanti per ottimi alunni.

“Lei esula dal nostro insegnante medio, signorina Edgecombe. Sebbene non abbia le competenze che in genere richiediamo, ha dimostrato di eccellere nell’esecuzione al pianoforte e nel canto, eccellenze queste che abbiamo ritenuto essere ottime sostitute delle nostre richieste usuali. Per questo non abbiamo ancora eseguito degli screening accurati su di sé, ma abbiamo preferito concentrarci al meglio sul suo alunno, il signor Ivan Matheson.”

Lillian annuì. “Capisco.

“Quello che lei ha in mano è un rapporto completo sulle inclinazioni del signor Matheson, sulle sue capacità individuali a livello musicale prima del suo ingresso. Come può leggere, noterà che il giudizio che gli è stato dato è di sufficienza. Il ragazzo avrebbe potenzialità, ma è dotato di una pigrizia innata che necessita di essere assolutamente… eliminata, perché possa proseguire con successo in questo tipo di studi, signorina Edgecombe.”
“Sì, l’ho notato anche io,” commentò Lillian.

La signora Ashcroft sorrise, quindi prelevò un secondo fascicolo, porgendolo a Lillian. “Questo secondo fascicolo, invece, contiene una valutazione posteriore alla sua assunzione. Come può ben vedere, il giudizio sul signor Matheson è decisamente cambiato.”
Lillian lesse la valutazione: a quanto sembrava, il suo intervento a livello musicale aveva grandemente migliorato le capacità del giovane Ivan, miglioramento che non era stato percepito solo da lei ma anche dalle docenti dell’istituto. “Ne sono… lieta per lui, signora Ashcroft. Ivan ha delle… ottime potenzialità, ma ha bisogno di essere stimolato nel modo giusto perché possa tirarle fuori appieno.”

La donna annuì. “Esattamente. Lei non è la prima docente del signor Matheson, bensì la terza. Le due precedenti istitutrici non erano state in grado di… smuovere il signor Matheson dal suo livello. Non gli avevano permesso di esprimersi, evidentemente, non avevano trovato il modo di limitare, contenere la sua pigrizia per farne emergere il talento. Ma lei, signorina Edgecombe, senza avere le loro stesse competenze, senza offesa, è riuscita appieno a svolgere il suo lavoro.”

Lillian arrossì, sotto la pelliccia. “Ne sono felice, signora Ashcroft. E’ per questo che sono stata assunta, ho solo fatto… il mio lavoro.”
“Perfettamente. E’ ciò che le abbiamo richiesto. Ma i suoi sforzi non sono stati ignorati. Prego, legga questo,” le disse, porgendole un terzo foglio. In fondo, Lillian poté vedere la minuta firma del signor Matheson, il padre di Ivan. “E’ un riconoscimento formale di merito, signorina Edgecombe, da parte del signor Matheson. Un riconoscimento assai… entusiastico, direi. Ha colpito molto il padre del signor Ivan Matheson. Per questo, in seguito alla sua email in cui faceva espressamente richiesta di poter avere ulteriori incarichi, ho deciso di affidarle altri due alunni. Penso che lei sia l’educatrice giusta per loro,” disse, aprendo il secondo fascicolo e consegnandole due plichi. “Siamo molto contenti di averla con noi, signorina Edgecombe, e confidiamo che lei possa portare a buon fine anche questi due incarichi di insegnamento.”

Lillian faticò non poco a contenere la sua gioia all’uscita dell’istituto. Avrebbe voluto chiamare suo padre, contattare Mills e Claire, urlarlo al mondo, ma decise che sarebbe stato meglio festeggiare alla grande in un secondo momento. Ora non poteva perdere tempo: doveva organizzarsi per decidere in che modo gestire questi due nuovi appuntamenti.

“Quindi io non sarò più il tuo unico studente?” chiese Ivan, appena terminata la lezione.

“No, a quanto pare. Ci saranno altre due sfortunate vittime della mia malvagità musicale e della mia voce,” rispose la morfa, sorridendo e chiudendo il suo zaino.

“Ma dai. Come insegnante sei la più… be’, la più particolare che mi sia mai capitata,” disse il ragazzo. “Stai persino riuscendo nel disperato tentativo di farmi venire voglia di esercitarmi da solo.”

“Il che è un miracolo,” replicò Lillian, dopo una risatina. “Non pensavo di essere così brava.”

“Ma perché gli hai chiesto di fare più lezioni?”

“Perché ho ventisette anni, Ivan,” disse Lillian. “E ancora dipendo dai miei genitori. Non è giusto, capisci? Lo so che per loro non è un problema e che se potessero venderebbero anche un organo per me, ma non è giusto che io dipenda ancora da loro a quest’età. Sono grande, dovrei avere già una mia strada e una mia vita da portare avanti, e invece ho… procrastinato un po’ troppo, direi.”

“Cioè?”

“Cioè non ho mai trovato un lavoro. Per una certa parte è colpa mia, lo ammetto: c’erano persone che non mi accettavano perché sono una morfa, è vero, ma penso che avrei potuto impegnarmi più a fondo. Invece mi sono…”

Ivan agrottò le sopracciglia. “Non ti assumevano perché sei una morfa?” chiese. “Ma è illegale.”
Lei scrollò le spalle. “Ma succede, e più frequentemente di quanto non credi. Ma è acqua passata. Ho trovato anche gente che mi ha accettato, ma non ci ho lavorato lo stesso. Penso che…” Lillian si fermò, guardando per un istante fuori dalla finestra. “Sono… è sempre stato più facile per me autocommiserarmi, dirmi che tanto nessuno mi avrebbe mai voluto, piuttosto che mettermi lì di persona e impegnarmi a migliorare la mia situazione con tutte le energie.”
“E perché non lo facevi?”
“Perché avevo paura di uscirne con le ossa rotte. Ti è mai capitata una cosa del genere?”
Ivan ruotò gli occhi, riflettendo. “Be’… no, ad essere sincero no.” Sorrise, evitando lo sguardo di Lillian. “Ho avuto tutto facile.”

Lei annuì. “Sì, immagino. Sai, penso che ti faccia onore riconoscerlo.”
“Grazie.”

Lillian guardò l’orologio. “Ora è meglio che scappi. Fra mezz’ora ho appuntamento con il mio secondo alunno.”

“Sono solo le cinque, e quella strada non è lontana. Puoi andare con calma, no?”

“Anche se non è lontano, non ho una macchina e non voglio prendere la metro, quindi a piedi o in bus impiegherò un po’ di tempo.”

“Ma perché non vuoi uno strappo?”

“Perché non mi piace chiedere, Ivan. Ce la posso fare con le mie forze. Ma grazie del pensiero, sei molto gentile.”

“Posso chiederti un’ultima cosa?”
“Certo.”
“Hai detto che ti ho dato una ottima idea, prima, ma non mi hai detto né come né che idea fosse. Sono curioso…”

Lillian fece un cenno di diniego con la mano. “No, è ancora presto. Ma a tempo debito saprai tutto, promesso.”

“Va bene, come vuoi. Posso almeno accompagnarti alla porta?”

Ivan e Lillian scesero al piano terra; il ragazzo le aprì la porta, lei uscì e si salutarono sull’uscio. “A presto, allora.”
“A Martedì. Sarò puntualissima, tu vedi di farti trovare preparato come oggi. Sei stato bravissimo,” concluse, aprendo l’ombrello e scendendo le scalette.

Lillian percorse la strada fra Nutcroft Road, la via in cui risiedeva la famiglia Matheson, a Bushey Hill Road, in cui invece abitava la ragazza a cui avrebbe dovuto insegnare, il suo secondo incarico ufficiale, canticchiando motivetti da “Mary Poppins” ed evitando le pozzanghere a passi di danza. Aveva dimenticato il suo lettore mp3, e seguiva una musica tutta nella sua testa, ogni tanto maledicendosi per aver voluto a tutti i costi indossare quella gonna patchwork che adorava così tanto, ma riparava dalla pioggia così poco.

Dopo circa venti minuti, lungo Peckham Road, un gran vociare e una risata maschile la distolsero dalla sua musica. Lillian focalizzò lo sguardo su una macchina in accelerazione, alla sua sinistra, che correva nella sua direzione. Si scostò, ma l’autista guidò la vettura su una pozzanghera, inzaccherandola da capo a piedi. La morfa ebbe appena il tempo di voltarsi per mandarlo a quel paese, che la macchina, seguita dalle risate dei suoi passeggeri se n’era già andata.

Proseguì lo stesso lungo il suo percorso, senza canticchiare ma a passo spedito e deciso.

“Oggi è stata una giornata con grandi alti e bassi,” commentò Lillian. Teneva il cellulare fra la spalla e il mento, mentre cucinava parlando con Claire.

“Come è andata con i due tipi nuovi?”

“Le due tipe,” la corresse Lillian. “No, loro sono state abbastanza tranquille. Ma avrei voluto fracassare la testa dei loro genitori. Non hai un’idea di come si sono comportati…”
“Prova a descrivermi.”

Lillian fece saltare la frittata, girandola con una certa disinvoltura sulla padella. “Allora… ah, perché non ti ho detto poi che un figlio di buona donna sulla strada ha ben pensato di inzupparmi con una pozzanghera. Spero sia finito contro un guard-rail.”
“Cioè? Lo ha fatto apposta? Ma sei sicura?”
“L’ho visto con i miei occhi correre con la sua maledetta Volvo contro una pozzanghera vicina a me e poi scappare ridendo. Dio, avrei voluto fulminarlo.”

Claire rimase per qualche secondo in silenzio. “Ma tu sei Lillian Edgecombe?”

“Sì…” rispose lei, spegnendo il fuoco e prendendo il cellulare in una mano. “Sono proprio io.”

“Non ne sono sicura. La mia Lillian avrebbe voluto le coccole e sarebbe stata male… Ho la netta impressione che…”
“Sì, è vero. Ma sai, oggi proprio non ho voglia di stare male per queste persone. Ho passato anni a piangermi addosso, ed è ora di smetterla. Mi ci è voluto per capirlo, ma oggi da Ivan ho avuto questa… illuminazione,” spiegò, sedendosi su una delle sedie di legno che aveva comprato per abbinarle al meglio al piccolo tavolo della sua cucina. “Non è giusto che continui così, devo pur fare qualcosa per la mia vita, e ho intenzione di mettermi… di mettere tutto a posto, di iniziare a farlo sul serio. Piagnucolare alla fine non serve, anche se le coccole di un’amica ti fanno sentire meglio…”
“Se fossero di un uomo staresti anche meglio,” disse Claire. “Fidati.”
Lillian sbuffò. “Tu se non rigiri il coltello nella piaga non sei felice, vero?”
“Non è…”
“Sì, che è vero.”
“Non capisco quale sia il tuo problema, Lilly. Sei carina, vesti bene, ti curi molto, sei simpatica, allegra, sei piena di vita… Perché sei ancora lì?”
“Per lo stesso motivo per cui tu sei nella mia stessa situazione cara mia,” ribatté Lillian. “Tu sei una donna estremamente sexy, eppure sei… non hai un compagno. Chiediamoci il perché. Anche se io dalla mia ho un certo peso…”
“Ma piantala, Lilly. Ho visto uomini stare addosso a dei cofani che non passavano attraverso le porte. Non sei grassa, sei solo… ben piantata.”

“Se me lo avesse detto un’altra persona mi sarei offesa,” commentò Lillian.

“Cazzo, sei un tasso, Lilly, non puoi oggettivamente pretendere di essere magra come un chiodo, così come non pretendo io di non avere le spalle da nuotatrice che mi ritrovo: io sono una tigre, sono muscolosa di natura, è inutile negarlo ed è stupido farsi dei problemi al riguardo.”

“Non capisco, scusa: perché non posso esserlo?”
“Hai mai fatto una dieta?”

“Sì, più e più volte,” disse Lillian, ricordandosi tutti i suoi tentativi degli anni precedenti.

“E come sono andati?”

Lillian sbuffò. “Lo sai. Sono ancora qui assieme ai miei ottanta chili per un misero metro e sessanta. Scarso.”

“Ecco,” commentò Claire. “Lilly, non te lo dico per cattiveria, non voglio infierire, ma per te, secondo me, è oggettivamente più difficile che per altri perdere peso. E non è solo una questione di peso, perché, credimi, ne ho viste di umane che pesano come te, ma sono veramente…”
“Grosse, lo so, Claire, me lo dicono tutti.”

“Ecco. Non è solo una questione di ciccia, ma anche di corporatura, di muscoli, di ossa… Tutto, insomma,” concluse la tigre.
“E’ perché non siamo umane e siamo in un mondo di umani, Claire,” disse Lillian, dopo qualche attimo passato a rigirarsi un fazzoletto in mano. “E’ per questo che siamo ancora sole. E non abbiamo trovato un morfo che ci giri attorno, e sai perché? Perché sono maschi, e ragionano con la testa dei maschi.”
“Quindi non con la testa.”
“Esatto. E quindi loro vanno a cercare le donne umane, non le morfe. E in questa loro ricerca rimarranno soli per l’eternità, se non capiscono come funziona il mondo…”
“Sai che hai ragione? Ma non è del tutto colpa loro: i genitori ci si mettono di buzzo buono a inculcare nei figli questa cosa, questo… non cercare quelli come loro ma gli umani. E’ come la storia dell’essere mancini: fino a un po’ di tempo fa se eri mancino i tuoi genitori cercavano di farti diventare destrimano. O con i gay, sai che c’era gente che pensava che fossero solo malati o cose così…”
“Lo pensano ancora,” fece Lillian.

“Senti, Lilly, ci stiamo deprimendo. Evitiamo questi discorsi pesanti, ti va?”
“Hai il mio appoggio.”
“Mi devi comunque dire di questi due tipi e dei loro genitori.”
“Te la faccio breve, o la cena mi si raffredda. Insomma, queste due ragazze sono molto tranquille, ubbidiscono e fanno quello che gli si dice, ma non ho visto nessuna luce brillare in loro. Sono spente, suonano perché devono e non perché gli piaccia particolarmente, e si vede molto. I loro genitori invece sono delle teste di cazzo. Ti basti sapere che la prima da cui sono andata, questa Missy, ha… mi ha aperto sua madre, e appena ha visto che ero una morfa ha fatto una faccia… come a dire “no, ti prego, non oggi.” Una cosa…”
“Idioti.”
“Già.”
“Sai, Lilly… giuro che poi ti faccio andare a mangiare, poi ci racconterai meglio nei prossimi giorni… Sai, mi piace sapere che stai reagendo. E’ anche questo che fa di te una femmina, una di quelle con la “F” maiuscola. Sono felice di questo, la mia amica è una gran donna!”

La tasso ridacchiò. “Pensa che io ho sempre pensato l’esatto contrario. Sei più femminile di me tu…”
“Ho detto “femmina,” non “femminile,” Lilly. E poi, io femminile? Io sono un camionista con le tette!”

Entrambe risero di cuore all’esclamazione di Claire. “Ho voglia di fare shopping con te. Anche senza comprare, voglio vedere qualche vestito e ho bisogno del tuo consiglio. Quando ci vediamo per fare compere?”
“Quando vuoi, per lo shopping io ci sono sempre!”

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