giovedì, dicembre 02, 2010

Capitolo 7 - Lillian fa delle audizioni

“Va bene,” disse Mills. “Abbiamo un’idea del gruppo, ora, direi.”

“Sì, decisamente.”

“Bene,” fece il cane, prendendo il suo zaino e sbattendolo sul tavolo del bar. “A me non piace stare fermo, Lilly. Questo progetto mi piace troppo per lasciarlo stare così e starmene qui ad aspettare, quindi, intanto che si decidevano le cose, ho fatto questo,” disse, tirando fuori un foglio stropicciato e consegnandolo alla morfa.

Lillian lo prese: era un volantino, realizzato al computer, molto accattivante, che invitava tutti i morfi interessati a far sentire la loro musica a contattare Mills alla sua mail. “Per formare la più grande band del mondo? Non ti sembra un po’ esagerato, Mills?”

“E’ una citazione da un film,” disse lui.

Lillian lo osservò per qualche istante, fissandolo negli occhi mentre il cameriere di Caffè Nero portava loro due tiramisù. “E immagino che dentro a quello zaino avrai anche le risposte di alcune persone, stampate per farmele vedere.”

Lui annuì, orgoglioso. “Ci sono già tutte, e ho sottolineato quelle che più mi interessavano.”

Lillian spostò la sedia, mettendosi più vicino al cane. “Sono troppo curiosa. Bravo Mills…”

Insieme, i due scorsero la lista fornita dal morfo, che era piuttosto lunga. La tasso rimase colpita dal numero di risposte. “Non immaginavo che là fuori ci fossero così tanti musicisti fra i nostri…” commentò a voce bassa, dopo mezz’ora di lettura, notando che avevano appena raggiunto la metà della lista.

“Ho appeso questo volantino dappertutto, l’ho lasciato nei bar, l’ho messo nel mio blog e l’ho fatto girare su FaceBook tramite tutti i nostri amici,” spiegò Mills. “Ha raggiunto mezza Londra, e forse anche qualcosa di più.”

Al termine, Lillian si tolse gli occhiali e si massaggiò gli occhi. “Quel tuo evidenziatore mi ha fatto perdere qualche diottria, ne sono sicura…”
“Sembri a pezzi,” le disse Mills.

“Lo sono… stanotte ho dormito malissimo, avevo un mal di testa allucinante e non c’era verso di farlo passare… Ti lascio immaginare in che stato oggi ho fatto lezione ai miei due alunni.”

“Claire mi ha detto che i loro genitori sono degli stronzi.”

“Decisamente,” commentò Lillian, che dopo due settimane cominciava ad avere i nervi tesi a causa del comportamento di quegli individui. “Sono stata con i loro figli sei giorni, tre volte alla settimana, due ore al giorno per ciascuno. D’accordo, mi pagano e anche bene e sono molto grata alla signora Ashcroft di avermi trovato questi due impieghi, ma davvero, i genitori sono degli elementi veramente… fastidiosi, per usare un eufemismo.”

“Immagino rompano le palle perché sei una morfa.”

“Hai indovinato. Quelle teste di… cazzo… mi stanno facendo dannare per quello. A parte gli sguardi, a cui ormai ho fatto il callo, c’è il modo in cui mi parlano, come se fossi… non so, una criminale, forse… Monosillabi stentati, toni sprezzanti…”
“Ma i figli?”
“Se ne sbattono, ovviamente. Così come sembrano sbattersene anche degli esercizi che gli do. Insomma, sto riservando loro un trattamento che su Ivan ha funzionato e dovrebbe andar bene anche per loro, eppure non fanno nulla di quello che gli dica. A volte ho l’impressione che mi prendano in giro…”

“Forse devi cambiare atteggiamento. Forse hanno bisogno di una educatrice vecchio stampo per funzionare.”

“No, credimi, sarebbe peggio. Anche perché la Ashcroft me li ha affidati perché usi con loro il metodo che ho usato con Ivan: con lui ho fatto un mezzo miracolo, a quanto pare, e vorrebbero che lo ripetessi con loro.”

Mills ridacchiò. “Sei la patrona dei loro casi disperati, allora.”

“Grazie per l’incoraggiamento…”

Lui le passò un braccio attorno alle spalle.

“Ecco, così già va meglio,” commentò Lillian.

“Sei bravissima, Lilly. Con Ivan hai fatto davvero una cosa fantastica, ora tocca a loro. Hai solo bisogno di capirli meglio, due settimane magari non bastano.”
Lei annuì. “Può darsi. Che ne dici se ora selezioniamo i nostri membri futuri?”

“Ma volentieri!”

“Immagino cerchiate mia sorella,” rispose un ragazzino con una camicia a grossi scacchi bianchi e neri, capelli corti e grandi auricolari bianchi lasciate sul collo da cui si sentiva suonare Hey Boys, Hey Girls. Un primo accenno di barba faceva capolino sulle guance.

“Sì,” rispose Mills. “Milla Przewich, giusto?”

“Sì. E’ di sopra. Se entrate la chiamo.”

“Grazie,” disse il cane, entrando in casa.

“Carino il posto,” commentò Lillian, dopo che il ragazzino se ne fu andato, salendo lungo le scale che portavano al piano superiore della bella villetta di campagna. “Isolato, pulito…”

“…ricco…”

“Già, parecchio,” disse lei, ammirando il parquet tirato a lucido sotto di lei e i vasi di fattura pregiata agli angoli dell’ingresso.

“Ehi,” disse il fratello di Milla, dalla balaustra del piano superiore. “Mi è soffitta, stava suonando. Vi aspetta su.”

“Ciao,” li accolse Milla poco dopo, facendoli entrare nella ampia soffitta. Lo scarso sole della giornata filtrava dall’abbaino, illuminando un grosso violoncello accanto ad una seggiola. In penombra, più lontano, un poderoso impianto stereo acceso. “Io di solito sono qui,” spiegò la scoiattolo, sedendosi allo strumento. “Mi piace stare comoda, e qui non disturbo nessuno. Oh, che scema, scusate,” disse subito, alzandosi e correndo verso due sedie poste vicino allo stereo. “Non vi ho…”

“No, lascia, non preoccuparti, facciamo noi,” la fermò Lillian, seguendola e prendendo da sola le due sedie pieghevoli. “Grazie, sei molto gentile.”

“Scusate, a volte dimentico… tutto.” Quando i due furono a loro agio, Milla si pose vicino al violoncello, giunse le mani sul bacino e fece un leggero inchino, per quanto il suo corpo un po’ abbondante potesse permetterglielo. “Io sono Milla Przewich, ma potete chiamarmi Mi, come fa mio fratello. Il mio strumento è il violoncello, ma so suonare anche violino e chitarra acustica. I Depeche Mode sono il mio gruppo preferito,” disse, aggiustandosi l’ampio maglione nero. “E oggi ho intenzione di suonare I Feel Loved.”

“Bella scelta,” commentò Lillian. “Il brano mi piace molto.”

“Solo una cosa, Mi: noi non siamo una giuria di qualche tipo. Non c’è bisogno di…”
“Mi aiuta,” lo interruppe lei. “Sono sempre molto nervosa quando faccio questo genere di cose,” spiegò, gesticolando. “E preferisco pensare di essere… davanti a qualcuno che mi giudichi per ciò che faccio, o almeno immaginarlo, ecco.”

Lillian le sorrise. “Facci vedere cosa sai fare, allora, Mi.”

“Grazie,” rispose la scoiattolo, passandosi una mano fra i capelli lisci. Si sedette con cautela, prese l’archetto in una mano e con l’altra fece partire il brano sull’impianto.

La musica si diffuse in sottofondo, ad un volume sufficientemente alto perché fosse udibile da entrambi ma non abbastanza da rendere difficile l’ascolto del violoncello. Milla, gli occhi chiusi, teneva il tempo battendo il pavimento di legno con uno dei piedi nudi, mentre l’altro era impegnato a seguire la musica con le unghie, eseguendo i suoni più elettronici con graffi e ticchettii mentre il violoncello si sostituiva con languore al resto. Era come se Dave Gahan fosse sul palco da solo con Milla.

Lillian ascoltò rapita fino alla fine, mentre Mills seguiva con molta attenzione il ritmo mantenuto dai piedi della morfa. Al termine dell’esecuzione, Milla scosse la testa, come svegliandosi da una trance, spegnendo lo stereo e alzandosi rapidamente.

Mills guardò Lillian e proruppe in un applauso. “Be’, congratulazioni!” esclamò. “E’ la prima volta che vedo una cosa del genere. Tu che dici, Lilly?” chiese poi, notando lo scintillio negli occhi della tasso.

“Che Milla è stata magnifica. Io la voglio nel gruppo,” disse, guardando l’altra morfa con ammirazione.

“Anche io.”

Milla ridacchiò, visibilmente imbarazzata. “Grazie,” disse a mezza voce. “Non so come ringraziarvi…”
“Non sei tu a dover ringraziare noi,” disse Lillian, prendendola per mano. “Ma noi a dover ringraziare te. Sarai fantastica, lo sappiamo.”
“Se sul palco farai anche solo la metà di quello che avrai visto qui, cavolo, sarai un successone.”

“Yvonne,” chiamò la donna, entrando nello spartano appartamento. “Ci sono due morfi per te,” disse la voce. La donna di colore tornò verso l’uscio, reggendo una borsa e con indosso un giubbotto forse un po’ troppo leggero per il clima rigido della giornata. “Yvonne si sta preparando, la troverete in soggiorno. Io devo uscire, tornerò fra un’ora, più o meno,” fece, uscendo dalla porta. Entrò rapidamente in una macchina dall’aspetto costoso, forse una Jaguar, e se ne andò rombando e salutandoli con la mano dal finestrino.

“Personaggio singolare,” commentò Mills.

“Spero che la figlia sia più normale,” disse Lillian, aggrottando le sopracciglia ed entrando.

“Venite,” fece una voce molto sottile, quasi eterea, da dietro un’arcata.

Yvonne Mbisi Pennthaler li aspettava seduta ad un gran pianoforte a coda, che troneggiava all’interno di un soggiorno grande a malapena per contenerlo, assieme ad un divano di pelle nera molto voluminoso e un enorme televisore a schermo piatto. Yvonne era una snella gazzella, dalle membra lunghe, che indossava una sorta di tunica bianco latte, allacciata alla vita con una cintura di pelle nera. Sorrideva ai due con uno sguardo timido, che a fatica incontrava i loro. “Ciao.”

“Ciao Yvonne,” la salutò Mills, seguito da Lillian.

“Sedetevi pure sul divano, l’ho girato, così potete essere comodi,” disse la gazzella. “A me piace molto la musica classica, non sono una grande amante della musica… pop, per così dire,” spiegò. “A parte una cosa: Madonna. Adoro Madonna.”

Lillian sorrise. “Piace a molti, in effetti. Ci suonerai qualcosa di suo?”

“Sì, ho intenzione di suonare American Pie,” disse. “Non è propriamente una sua canzone, è una cover, ma ho pensato che fosse adatta, visto che il gruppo è basato su cover, come diceva il volantino.”
“Sì, è giusto,” fece Lillian.

“Come hai trovato il volantino?” chiese Mills.

“Me lo ha fatto avere una mia amica, l’ha trovato in un qualche… locale, credo,” fece Yvonne, battendo alcuni tasti per scaldare le mani.

“Molto bene. Facci sentire di cosa sei capace, Yvonne.”

Lei annuì, e si immerse nel pianoforte.

“E Corinne come ti è sembrata?” chiese Lillian a Mills, dopo l’esibizione della morfa licaone.

“Mah…” rispose Mills, avviando la macchina. “Sì, canta bene, ha una voce particolare, certo… anche la canzone che ha scelto non è male…”
Locked Within the Crystal Ball?”

“Sì. E’ da un bel po’ che non sento parlare dei Blackmore’s Night, dopotutto. Sì, direi che per me è ok, anche se non penso sia nulla di speciale.”

“Sei un po’ troppo… rude con lei. Io trovo abbia un’ottima voce.”

“Non so… voglio dire, ci sei già tu a cantare, che bisogno abbiamo di una seconda voce femminile? Non penso ne troveremo una alla tua altezza,” fece il cane.

“Non è il caso di lusingarmi, Mills…”
“Non sto facendo lusinghe, Lilly, sto dicendo la verità. Non ho ancora trovato nessuno in grado di cantare come te, e sicuramente Corinne, per quanto sia brava, non è fra questi.”

Lei ridacchiò. “Grazie.”
“Ripeto: non sto cercando di lusingarti.”
“Sì, certo. Ci credo,” rispose Lillian, ancora ridendo, più per l’imbarazzo dei complimenti che non per il sarcasmo. “Torniamo seri. Manca solo un membro da visitare, giusto?”
“Sì, Nicholas, il commesso di Harrods. Il topo che suona il basso, ti ricordi? Lo abbiamo incontrato quando mi hai parlato per la prima volta della tua idea.”

“Sì, mi ricordo. Aveva un curriculum musicale di tutto rispetto.”
“Hai sentito la demo del suo gruppo? Quella che ti ho girato per email?”
“Sì. Se è lui, darà fuoco al palco.”
“Ah, è quello che spero! E’ buffo…”
“Cosa?”
“Mi sento come uno dei Blues Brothers… hai presente il film? Quando loro vanno a cercare i membri della banda…” disse Mills.

“Spero di non essere io John Belushi.”

Mills fermò la macchina nella zona di Elephant and Castle, in Elsted Street. “E’ qui.”

“Molto grazioso,” commentò Lillian, vedendo le villette a schiera lungo la via.

Nicholas li attendeva nel garage della casa di famiglia, la chitarra elettrica allacciata a tracolla e un paio di grandi cuffie stereo in una mano. “Ciao ragazzi,” li salutò, stringendo loro la mano. “Mi stavo allenando, non volevo farmi trovare impreparato. Il vostro progetto mi piace un casino, voglio farne parte a tutti i costi!”

Mills annuì. “Be’, se ci fai sentire dal vivo uno dei pezzi che hai mandato nella demo… direi che sei dei nostri automaticamente. Tu che ne pensi, Lilly?”
“Assolutamente,” confermò.

Nicholas si passò una mano fra i corti capelli scuri. “Proviamoci, allora,” disse. Accese lo stereo e uno dei vigorosi brani del suo demo iniziò a suonare, Higher We Go. Le labbra si muovevano appena durante l’esecuzione, canticchiando sottovoce il testo, mentre le dita passavano sulle corde, seguendo passo per passo la musica originale che suonava in sottofondo. Mills, in piedi, tamburellava senza rendersene conto con il piede a tempo con le percussioni di sottofondo, mentre Lillian osservava l’intera scena, senza perdersi un solo passaggio. Qualcosa le diceva che non solo Nicholas sarebbe stato un ottimo acquisto, ma che molto probabilmente avrebbe proposto lei stessa di suonare il brano durante una delle loro esibizioni future: era energico e le dava un sensazione di speranza e di forza, uno sprone ad andare avanti insieme verso il futuro.

“Sì, Mills, è dei nostri,” disse alla fine, con un gran sorriso.

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