domenica, dicembre 12, 2010

Capitolo 8 - – Lillian raduna la banda

“Mills? Sono io, Lillian.”
“Ciao Lilly! Aspetta… aspetta… Eccomi, ci sono.”
“Che stai facendo? T ho disturbato?”
“No, tranquilla… No, stavo mettendo in ordine la stanza. Dimmi tutto.”
“Ti volevo chiedere una cosa: hai pensato a qualche posto in cui fare le prove con il gruppo? Ovviamente anche il nome del gruppo dovrebbe essere deciso…”
“Il nome lo decideremo sicuramente tutti insieme,” disse Mills. “Per quanto riguarda il luogo… l’unica problematica è il pianoforte di Yvonne, effettivamente, altrimenti ci sarebbe il garage di Nicholas. Lui mi ha già dato la sua disponibilità.”
“Io ho una tastiera, in casa,” suggerì la morfa. “Possiamo usarla, funziona benissimo. La usavo per esercitarmi qualche anno fa e me la sono portata qui. E’ professionale… ovvio, non è un pianoforte a coda, ma non credo che…”
“Ma perché non chiediamo queste cose direttamente a Yvonne? Dopotutto, è lei la diretta interessata, magari qualche soluzione l’ha già… aspetta… ho un messaggio. E’ Yvonne.”
“Parli del diavolo, spuntano le corna,” commentò Lillian, divertita.
“Mi chiede se posso avvertirla sul luogo in cui proveremo per portare la sua tastiera. Visto? Abbiamo risolto tutto.”
“Bene, un problema in meno. Solo, Mills… cosa suoneremo?” chiese la morfa.
“Cover. Non l’abbiamo già deciso?”
“Sì, ma non abbiamo deciso quali.”
“Organizzo io la cosa. Lascia fare a me.”
La sera del 1° Dicembre, al solito tavolo del Piper’s Dream sedeva un gruppo piuttosto diverso.
“Bene,” iniziò Mills, che per l’occasione indossava la canottiera con il logo del suo vecchio gruppo. “Ragazzi, benvenuti. Sono tanto, tanto, tanto felice di vedervi qui seduti tutti insieme. Per me, e sicuramente anche per Lilly, è un sogno che inizia a diventare realtà.”
Lillian scrutò il volto del cane. Anche nella luce soffusa del locale, mentre in sottofondo suonava Take Five, poteva chiaramente vedere i suoi occhi brillare, le orecchie ritte e la pelliccia in costante movimento. Mills era eccitato e radioso, e la cosa la riempiva di gioia: sentiva chiaramente di aver fatto la cosa giusta nel proporgli l’idea del gruppo, e non riusciva ad immaginare fino a che punto la cosa avesse potuto coinvolgerlo.
“Anche io sono felicissima della cosa,” sottolineò Corinne. “Pensavo: cavolo, ci sono mille gruppi con un po’ di umani e un po’ di morfi, ma perché nessuno si è mai messo d’impegno per farne uno solo con dei morfi? Non è una sciocchezza?”
“Be’,” fece Lillian. “Non credo che siamo i soli. Sai come si dice: se pensi di aver avuto un’idea geniale, l’hanno avuta almeno altre quattro persone. Sicuramente, noi siamo l’unico che sia partito con una simile facilità qui a Londra, per quel che so. Ed è quello con i migliori talenti, esclusa me, ovviamente.”
Mills le scoccò un’occhiata infuocata. “Non l’ascoltate. Ogni tanto strippa e le escono frasi del genere. Lillian è la… una delle voci migliori che conosca. Comunque, non siamo qui per farci elogi a vicenda, ma per capire bene come… come muoverci e cosa fare. Ora siamo insieme, possiamo prendere decisioni insieme.”
Milla e Yvonne annuirono.
“Ci sono un mucchio di cose da decidere,” fece Nicholas, grattandosi un’orecchio. “Il nome, cosa si suona, dove si prova, dove si suona…”
“All’ultima domanda ho già la risposta,” disse Lillian. “Il padrone di questo locale è un mio amico, e mi ha già detto che ci offrirà il palco per la nostra prima serata.”
Corinne si lasciò sfuggire un fischio di ammirazione. “Fantastico… abbiamo già un palco, e ancora non abbiamo iniziato.”
“In effetti forse non siamo partiti in modo ragionato,” commentò la tasso. “Quindi, mettiamoci all’opera, visto che siamo qui. Il primo punto è…”
“…il nome della band,” fece Mills.
“Sì… o meglio, no, non lo è, effettivamente, si può decidere anche in seguito, ma è comunque un punto di partenza.” Alzò le mani. “Io non ho idee, lo ammetto.”
London Morph Quintet,” suggerì Nicholas, prontamente.
“Da quanto te lo stavi studiando?” commentò Corinne, ridacchiando.
“Da stamattina,” ammise il ratto.
“A me piace,” fece Milla. “E’ quel che siamo.”
“Ma non è nulla di speciale,” commentò Mills.
“Non c’è bisogno che sia speciale,” disse Lillian. “Milla ha ragione: è quel che siamo. Noi non siamo speciali per… qualche arcano motivo. Quel che vogliamo è che le persone ci guardino e non vedano un qualcosa di strano, ma qualcosa di ordinario, di comune. Dobbiamo risaltare per quel che siamo, non per quel che abbiamo di diverso. A me il nome piace. Altre idee?”
“Nah,” fece Corinne. “Per me può andare. Cioè, io avevo pensato altre cose, ma se l’idea dietro il gruppo è questa direi che non vanno bene.”
“Tu non sei d’accordo, Corinne?” le chiese il cane.
“Sì, sono… perfettamente d’accordo con l’idea, altrimenti direi che non sarei qui. Avevo solo pensato cose diverse, tutto qui, ma il nome che ha suggerito Nico va più che bene.” Sentendosi chiamare con un diminutivo, il ratto rivolse per qualche attimo uno sguardo perplesso a Corinne.
“D’accordo. Mettiamola ai voti,” suggerì Lillian. “Chi è…”
“Io sono d’accordo,” fecero Mills e Yvonne all’unisono.
“Anche io,” fece eco Milla.
“E io e Cory, credo,” disse Nicholas, rispondendo al diminutivo usato dalla licaone, che annuì.
“Bene,” disse Lillian, lasciando che un gran sorriso le riempisse il muso. “Direi che il London Morph Quintet è ufficialmente nato.”
“Ci vuole una birra,” fece Mills. “Me ne occupo io,” disse, alzandosi. “Voi intanto discutete delle altre cose, arrivo in un attimo.”
Lillian lo guardò andar via, prima di occuparsi del resto. “Ora che abbiamo capito chi siamo, dobbiamo decidere cosa faremo. Nicholas ha già dato la sua disponibilità per la rimessa di casa sua, se non sbaglio.”
“Sì, assolutamente,” confermò. “Ho un unico problema, ma è facile superarlo: i vicini romperanno le palle se suoneremo ad orari… insomma, di sera e di notte. Non è insonorizzato, insomma, è un garage. Per i miei non c’è problema, sono abituati a sentirmi suonare da diversi anni, ma i miei vicini non hanno mai sopportato la cosa.”
“Gli faremo venir voglia di ascoltarci,” ribatté Lillian. “Io non credo sia un problema. Per voi?”
“Il problema potrebbero essere gli orari di noi tutti,” disse Yvonne. “Io, per esempio, durante la settimana ho alcuni impegni, ma posso riuscire a liberarmi per suonare… per esempio prima di cena.”
“Sarebbe fantastico.”
“Io sono a disposizione in qualsiasi momento,” fece Milla, mentre Corinne la seguiva annuendo.
“Io lavoro,” disse Nicholas. “Quindi penso di essere il più problematico, al riguardo…”
“Eccomi,” li interruppe Mills, portando con sé un vassoio con quattro boccali di birra chiara e uno di scura, che consegnò subito a Lillian. “Ci ho messo un po’ perché il barista ha voluto sapere tutto sul gruppo.”
“Siamo già famosi,” commentò il ratto. “A noi!” disse, alzando il boccale, imitato subito da tutti.
“Al London Morph Quintet!” gli fece eco Mills, facendo tintinnare il suo.
Dopo il rapido brindisi, il neonato gruppo si imbarcò nell’impresa di decidere cosa suonare.
“La mia idea è quella di dare a ciascuno di noi un momento in cui… brillare, all’interno dei vari concerti. Le nostre doti collettive devono emergere,” spiegò Lillian. “E non ci devono essere figure principali, leader o favoritismi. Le luci della ribalta saranno offerte a tutti, volta per volta. E mi piacerebbe che ognuno di noi scegliesse la sua canzone, qualcosa che lo rappresentasse appieno e che lo facesse sentire bene: avremo tutti la possibilità di suonare quella specifica canzone, almeno una volta.”
“Posso suggerire una cosa?” interloquì Corinne. “Cioè, io sono d’accordo, totalmente. Ma penso che le persone debbano concentrarsi su di noi, più che sulla singola canzone, no? Siamo appena nati, dobbiamo farci vedere, e per me la cosa migliore è puntare, almeno al primo concerto, su canzoni che la gente conosca bene. Così non staranno tanto a pensare a cosa suoniamo, non dovranno seguire troppo la musica, ma seguiranno noi sul palco.”
Mills considerò la cosa per alcuni istanti, quindi annuì. “Ha ragione. Corinne ha ragione, Lilly.”
“Sì, in effetti è un discorso giusto,” commentò la tasso. “Cosa proponete, allora?”
“Cerchiamo fra le nostre canzoni cose che ci piacciano e che siano note,” fece Nicholas. “Pop, rock, soprattutto.”
“Suggerisco Madonna,” fece Milla, ottenendo uno sguardo pieno di speranza da parte di Yvonne.
“Vediamo che cosa abbiamo…” fece Lillian, invitando tutti a mostrare le loro preferenze.
Impiegarono circa un’ora per mettere insieme tutte le idee e riuscire ad arrivare ad una scaletta. Il loro primo concerto sarebbe iniziato con American Pie e sarebbe concluso con Because the Night.
All’uscita dal pub, Lillian si fece accompagnare a casa, come spesso accadeva, da Mills. Era cupa e silenziosa, ed evitava il suo sguardo. Il cane notò subito la cosa. “Ehi, Lilly. Tutto ok?”
Lei si limitò ad annuire.
“Non mi sembra. Da quando abbiamo concluso la discussione, poco fa, ti sei chiusa in te stessa. Cosa c’è che non va?”
“Nulla.”
Si fermò davanti a lei, impedendole di camminare. “Ah-ah. Non si va avanti se non mi dici cosa c’è. Non mi mentire, tanto con me non ce la fai.”
Lei lo guardò, stretta nel suo parka. Quindi sospirò. “Non voglio esibirmi con quella canzone,” replicò.
“E perché?”
“Perché non l’ho scelta io, Mills. L’hai suggerita tu e tutti poi hanno accettato.”
Appena entrati in macchina, Mills le disse: “Lo sai che questa è solo una scusa, vero?”
“Non è una scusa, è la verità.”
“E’ una parte della verità. Lilly, non ci provare con me, non puoi fottermi in questo modo.”
Lei gli rivolse uno sguardo che avrebbe distrutto una bottiglia di vetro. “Va bene, va bene. Sono… timida. Mi vergogno a far sentire la mia voce mentre canto in questo modo.”
“Ma… Lilly, perché adesso sei così recalcitrante? Sembrava che il progetto t’interessasse!”
“E infatti è così, mi interessa e anche tanto, ma… speravo di rimanere un po’ dietro le quinte, ecco. E’ per quello che ho insistito su Corinne,” disse. “Lei ha una voce più bella della mia, quindi potrebbe essere meglio di me come prima voce. Non volevo essere coinvolta fino a questo punto.”
“Se fossi uno dei miei amici maschi, a questo punto ti avrei tirato un pugno, Lilly. Ma con te non mi permetterei mai.”
“Perché mi tireresti un pugno?”
“Perché stai dicendo un mare di stronzate! Lilly, sei una delle voci più speciali che conosca, mi rifiuto di concepire che ti possa tirare indietro proprio ora! Ora che abbiamo la possibilità di farci vedere, di farci sentire e di far capire a tutti che esistiamo e non siamo spazzatura come ci hanno sempre considerato. Ora che abbiamo tutto, che dobbiamo solo ingranare come insieme, come gruppo. E poi… per cosa?”
“Attento a quelle macchine…”
“Sono attentissimo, Lilly, tranquilla. Mi spieghi perché ti vergogni?”
“Per la mia voce.”
“E’ meravigliosa, Lilly. Non sto cercando di… sedurti, di farti i complimenti e cose così, sto dicendo quello che so. Mi hai cantato più volte quella canzone, so perfettamente come suona quando le parole escono dalle tue corde vocali, e ti dico che se ci fosse Patti Smith ad ascoltarti direbbe le stesse cose che dico io. Meriti che la gente ti ascolti e ti acclami…”
“Non lo voglio, Mills. Non voglio essere acclamata, sentita… è sempre stata una cosa privata per me, il canto, capisci? Una cosa intima. Metterlo così sulla pubblica piazza… è innaturale per me.”
“Innaturale, certo, può esserlo sulle prime. Anche io sono stato teso come una corda di violino ai primi concerti, non credere, ma poi si tratta solo di prendere confidenza con la cosa. Si impara: si impara a pensare che ti stai esibendo con altre persone, si impara ad avere fiducia in se stessi e nelle proprie capacità e si impara a capire che non c’è nulla di male. Anzi, che è solo bellissimo, perché stai condividendo qualcosa con gli altri. E’ stato Corey a farmelo capire, quando avevo questi timori. Era lui che mi spingeva, che mi tirava sulla testa le bacchette quando capiva che sbagliavo nelle prove perché mi facevo prendere dalla timidezza, era lui che mi rovesciava la birra sul collo quando mi prendevano questi momenti neri… E mi tirava su anche quando, nel bel mezzo di un concerto, mi strizzava l’occhio dopo uno degli assoli che mi lasciava, quando mi mostrava il pollice in su alla fine di un pezzo particolarmente ritmato…”
“Ti manca?”
“Quando è morto mi è morto qualcosa dentro. Corey era un… un grande amico. Sapere che non c’è più mi fa sentire un vuoto qui, nella pancia. Abbiamo fatto un sacco di concerti insieme. Era l’anima del gruppo, anche se solo io e lui eravamo morfi e abbiamo fatto un po’ di fatica a farci accettare dagli altri. Ma poi… che bello che era suonare tutti insieme, una sola nota, tutti insieme. E tutto era grazie a Corey. Se fosse qui, oggi, sarebbe felice di vederci.”
Lillian tacque per qualche istante, guardando la città scorrere attorno a loro, mentre Mills guidava in silenzio. “Scusami,” disse quindi. “Hai ragione, sono una stupidina.”
Mills annuì. “Proprio.”
“Dovrò iniziare a ripassarla, allora.”
Mills sorrise. “Totalmente,” disse, tirando su col naso.
“Scusa, non volevo fartelo ricordare…”
“No, non è nulla, Lilly. Anzi, a volte fa bene anche a me. Non potrò non rimanerci male neanche una volta, per me lui significava molto.”
Lei gli pose una mano su una gamba, fermi ad un semaforo. “Lui è sempre con te, nel tuo cuore, Mills.”
“Già. Ma sai, a volte non basta.”
Quella sera, su FaceBook:
Lillian Edgecombe: Stasera ho visto il nuovo gruppo nascere. Si chiamerà London Morph Quintet, perché siamo cinque morfi di Londra. Ma ho un groppo, un peso qui che non riesco a mandare proprio via…
Jules Penderton: Un peso? Strano, io al tuo posto sarei felicissimo… be’, comunque lo sono per te, Lilly! Farete grandi cose!
Claire Hogarth: Ci penso io a mandartelo via, il peso, Lilly: domani sera vieni con me e andiamo a cercare il tuo abito per il primo concerto. E ovviamente ne parliamo, chiaro.

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