giovedì, gennaio 20, 2011

Capitolo 15 – Lillian si prepara al gran giorno

Quando Lillian aprì gli occhi, la sveglia segnava le nove di mattina di Giovedì 16 Dicembre. La morfa rimase al buio a guardare, senza vederla sul serio, la data lampeggiante in rosso sul display. Si alzò, andò in bagno e si mise gli occhiali, che come al solito aveva lasciato la sera prima sul lavandino. I capelli erano totalmente scompigliati, arruffati e arricciati in posizioni impossibili, per non parlare della pelliccia sul collo e degli occhi appesantiti dal sonno…
Aveva bisogno di un buon caffè e di una bella doccia. E di capire cosa fosse quel basso ronzio che sentiva nella propria testa, una vaga sensazione di allarme, quella sensazione che si ha quando ci si rende conto di essersi dimenticati qualcosa di importante ma non si riesce a ricordare cosa diavolo fosse.
Lillian vagò con lo sguardo sulla specchiera, tentando in ogni modo di far lavorare il suo cervello. Perché i suoi occhi indugiavano così tanto sul pigiama? Cos’aveva di strano?
“Mi ci vuole un caffè, è inutile,” si disse a voce alta.
Impiegò quasi un’ora per fare colazione, lavarsi e cambiarsi, con calma estrema. Quel pensiero, quella sensazione continuavano a vagare nel suo cervello senza far scattare nessun allarme, nessuna lampadina. Eppure, Lillian sentiva che si trattava di qualcosa di incredibilmente importante…
Il telefono squillò mentre la morfa stava scegliendo gli ultimi accessori, ormai pronta per iniziare la giornata.
“Allora, signorina?” disse la voce di Claire al telefono.
“Buongiorno,” rispose Lillian, dopo essersi aggiustata il cerchietto in testa. “C’è qualche problema?” chiese, incuriosita dal tono della voce dell’amica.
“Be’, sì, direi uno molto grosso che si chiama “fare shopping con la tua amica Claire.” Sbaglio, o tu devi andare a cercare un certo vestito?”
“Vestito?”
“Sì, carissima. Noi due dobbiamo assolutamente andare a cercare il vestito per il tuo cazzo di concerto!”
Lillian si batté una mano sulla fronte. “Ecco cos’era! Ci penso da tutta la mattina e non mi veniva in mente! Ricordami di darti un bacio, Claire…”
“Non dirmi che te ne eri dimenticata, perché proprio non ci credo.”
“Be’… sì, me l’ero dimenticato. E dal tuo silenzio posso intuire che stai scuotendo la testa e, credimi, al tuo posto lo farei anche io.”
“Muoviti. Ci vediamo in Oxford Street fra un’ora.”

 “Sono fottutamente agitata,” disse Lillian, camminando. “Fottutamente agitata. Fottutamente.”
“Rilassati, Lilly,” le disse l’amica, stringendole la spalla. “Siamo fuori a far shopping!”
“Ma io domani sera canterò in pubblico. Davanti a Dio solo sa quanta gente… spiegami come faccio a non essere agitata!”
“Ma tu hai già cantato, Lilly, tante volte…”
“Ero in un coro, Claire. In un coro nessuno sta a vedere i singoli membri se non i parenti o gli amici. Non è proprio la stessa cosa.”
“Forza, entra,” la spinse Claire. All’interno del negozio d’alta moda, l’aria era ammorbata da qualche profumo femminile, il cui afrore irritava il naso della tasso. L’impianto stereo diffondeva note chillout che stonavano con l’orario, ma ben si adattavano all’aria delle commesse, vestite e impomatate come se fossero pronte per una serata in.
“Che postaccio…” mormorò Lillian. “Mi sento fuori posto,” disse poi.
“Ma dai. Forza, dobbiamo o no cercare questo famoso vestito?”
Le due amiche passarono in esame ogni abito, ogni maglia, ogni pantalone presente nel negozio, con l’aiuto di ogni commessa visibile nel raggio di pochi metri. Il carattere di Claire trainava Lillian, che non voleva disturbare le commesse per cercare cose adatte alla sua taglia o al suo colore di capelli. Dovette ammettere più volte a se stessa di non voler essere di disturbo anche per gli sguardi scocciati e le occhiate perplesse che esse le lanciavano a più riprese, dopo aver passato in rassegna i vari capi proposti.
La visita, che avrebbe dovuto essere un momento da trascorrere serenamente per le due, si stava trascinando da ormai mezz’ora. I discorsi di Claire si erano ridotti a brevi frasi, quando non a singole parole, monosillabi o cenni della testa, mentre Lillian si sentiva sempre più insicura e meno paziente. L’idea di voler cercare un abito per potersi mostrare un po’, per coccolarsi edonisticamente, stava diventando una fonte di nervosismo unica per entrambe.
Le due morfe si addentrarono in un reparto del negozio piuttosto distante dall’ingresso, in cui nessuna commessa sembrava entrare da giorni: abiti posati su tavoli in ordine sparso o appesi alle rastrelliere senza una precisa distinzione.
“Lilly, non voglio forzarti,” disse Claire. “Se vuoi possiamo uscire e andare altrove, magari a rilassarci un secondo…”
“No, Claire,” rispose l’altra. “Ormai è una questione di principio. Se vuoi puoi aspettare fuori: vedo che la cosa ti sta irritando, ti capisco e anzi, mi dispiace essere causa di tutto questo, quindi non ci vedrei nulla di male se volessi uscire a prendere una boccata d’aria.”
“Ma che dici? Uscire e lasciarti qui in balia di questi vestiti? Non ne usciresti viva, Lilly bella. Ti ritrovrebbero domani mattina appesa a qualche gruccia come una bella giacca,” le ribatté l’amica. “Piuttosto, diamo un’occhiata qui,” fece poi, immergendosi in una delle rastrelliere. “Ci sono abiti da sera… o qualcosa di simile…” disse, prendendo in mano un lungo tubino monospalla color catrame. “Un qualcosa del genere?”
“Non voglio sembrare un sacchetto dell'immondizia,” disse la morfa, dopo aver considerato l’abito per qualche istante.
“Perché un sacchetto dell'immondizia? Secondo me ti starà da Dio. E’ un abito di… classe, se vogliamo.”
“Quel vestito sta bene a chi ha delle forme... normali. Non a chi è un po' troppo abbondante,” fece, lasciandosi scivolare una mano su pancia, fianchi e gambe. “Se me lo mettessi sembrerei veramente uno sgraziato sacchetto…”
“Non dirlo nemmeno per scherzo!”
“Non sto scherzando, Claire. Guardalo,” fece Lillian, provando a posarselo addosso. “Vedi? Sono più larga di quanto questo vestito si possa permettere,” disse. “Se lo mettessi, ammettendo che non mi scoppi al primo movimento, sembrerei sottovuoto. E poi è nero.”
“Posso capire la questione delle… della taglia, ma… cos’hai contro il nero?”
“E’ nero: non ha nulla di vivo, di colorato, di allegro. Non voglio un abito del genere al concerto, Claire. Voglio qualcosa che sia vivo. Non c'è un altro abito che...” disse Lillian, aggirandosi nel locale. Si fermò davanti ad un lampo color oro; infilò le mani fra gli abiti appesi e ne estrasse uno che fece sgranare gli occhi di Claire.
“E questo?” chiese la tasso, appoggiandolo su di sé per valutarne le dimensioni. Era un abito lungo, simile a quello trovato da Claire, ma dalla vita in giù cadeva in modo scampanato, non attillato.
“Vuoi davvero mettere una cosa del genere?” disse la tigre. “Un tubino color oro… con tutte quelle paillettes?” fece, alludendo alle numerose paillettes che punteggiavano i fianchi dell’abito.
“Che c'è di male?” fece la tasso, scuotendolo, così che le luci della stanza si riflettessero sull’orgia di minuscole paillettes che ne ricamavano i fianchi.                                                         
“Lilly, un vestito del genere andava di moda... andava bene per le Bananarama. O per gli Abba.”
I’m your venus, I’m your fire…” canticchiò la morfa, posandolo sul suo corpo e specchiandosi. “E' old-fashion, sì,” commentò Lillian.
“Ma tu sei cocciuta e testarda, e quella luce nei tuoi occhi dice che lo vuoi a tutti i costi.”
Lillian rise. “Hai indovinato. Non so perché, effettivamente sembra kitsch anche a me… ma c’è questa vocina insistente che mi suggerisce di prenderlo.”
“E non dai ascolto alla tua amica ma alla tua vocina?”
“Io do sempre ascolto alla mia amica, ed è per questo che per una volta preferisco seguire la vocina, Claire.”
La tigre ridacchiò. “E spiegami perché quello non ti farà sembrare un sacchetto dell'immondizia.”
“Anzitutto perché è della mia taglia, il che è un miracolo,” disse Lillian, controllando l’etichetta. “E poi perché non è nero. Ma ti darò subito una dimostrazione della cosa,” disse, affrettandosi ad entrare in un camerino. Ne uscì pochi minuti dopo, con indosso l'abito, le scarpe in una mano e l’altra a tenere sollevati i capelli sulla nuca. “Allora?”
Claire la squadrò per alcuni istanti, valutandone ogni aspetto, quindi le rivolse un'occhiata poco convinta. “Sì, ok, ti cade perfettamente, ma non è il top, secondo me. Sembri una strobo, Lilly.”
“Voglio risplendere su quel palco, Claire. Voglio che la gente ci guardi. Voglio che ogni cosa sia fantastica, sia luce e allegria, sia vita e musica quando ci esibiremo. A partire dal mio cazzo di vestito. Quindi, se mi fa sembrare una strobo, ma non un sacchetto dell'immondizia, ben venga. Lo prendo.”
Claire prese in mano l'etichetta dell'abito. “Sei fortunata: è anche in sconto.”
“Vedi? E' un segno del destino.”
“D'accordo. Ma i capelli te li concio io. E ti scelgo io anche le scarpe.”
“Scordatelo.”
“Lilly, se lasciassi fare a te canteresti in pantofole o a piedi nudi.”
“E che c'è di male?”
“C'è che cantare a piedi nudi non si abbina a quel vestito. Ti servono delle scarpe adeguate, e ho già una mezza idea. Adesso andiamo a pagare, ti farò vedere.”
“No, ho io una mezza idea. Ti concedo l’onore di occuparti dei miei capelli, ma non delle mie scarpe.”
Claire rivolse gli occhi al cielo. “Finalmente. Andiamocene di qui, ti prego.”

“Sei emozionata?” le chiese Ivan.
“Non immagini quanto,” fece lei, improvvisando alcuni accordi al piano per sciogliere la tensione. Aveva appena terminato le lezioni di musica con Ivan e con Missy, e sentiva ancora lo stomaco stretto in una morsa. Non era ancora riuscita a mandare giù un boccone per pranzo, e temeva che per la cena sarebbe stato lo stesso. “Solo questa mattina a colazione sono riuscita a mangiare. Ho lo stomaco chiuso a chiave, blindato.”
Ivan rise. “Andrà tutto benissimo, vedrai.”
“Ho invitato Missy, una delle altre due ragazze a cui faccio lezione. Ti va di… insomma… venire a vedermi?” chiese Lillian, senza riuscire a incontrare lo sguardo del ragazzo. “Domani sera, al Campfire Tales.”
“Ben volentieri, Lilly,” disse lui, posandole una mano sulla spalla. “Ci puoi giurare, sarò lì. Sono troppo curioso.”
La morfa accennò ad un sorriso. “Sai, quasi avrei preferito che mi dicessi di no. Ora sarò ancora più emozionata. E se sbagliassi qualcosa?”

“E se sbagliassi qualcosa?” disse Lillian al telefono con suo padre. “Che figura ci farei, papà?”
“Farai un figurone, bimba mia, te lo assicuro,” le rispose lui. “Non sbaglierai una virgola, posso dirlo io per te.”
“Come fai ad esserne così sicuro?”
“Perché ti conosco, Lilly. Sono tuo padre, ti ho vista cantare tutta la vita, so come sei fatta e so come ti comporti, quindi ho materiale a sufficienza per essere sicuro del risultato.”
“Vorrei avere la tua sicurezza, papà… ma grazie.”

Su FaceBook:
Lillian Edgecombe: Non ci posso credere… domani il concerto! Domani il concerto! Ho preso il vestito con Claire, è bellissimo, ma sono agitata come non mai… non mi era mai capitato… Oddio! Stanotte non dormirò.
Kevin Clarken: Devi dormire, Lilly, o non sarai in grado di cantare al meglio come sempre!
Lillian Edgecombe:@Kev: ecco, ora sono doppiamente agitata. Ora sono certa che non dormirò.

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