domenica, luglio 24, 2011

Capitolo 37 – Lillian viene ricambiata, finalmente

“Siamo… siamo arrivati all’ultimo brano per questa sera, e stavolta sul serio,” disse Lillian, cercando di sovrastare gli applausi dopo l’esecuzione di Firework, esecuzione secondo lei inferiore alle aspettative, a ciò che era emerso dalle prove nei giorni precedenti. Non seppe dire se fosse stato a causa del litigio avvenuto con Corinne, che forse aveva guastato un po’ il feeling fra le due morfe, o se fosse per un po’ di stanchezza da parte sua, ma durante il concerto non aveva ottenuto le stesse “vibrazioni” di eccitazione, di gioia che la canzone e il modo in cui l’eseguivano le avevano dato in passato.
E forse era per quello che sentiva il bisogno di concludere quel concerto: per lasciarsi alle spalle un certo retrogusto amaro della serata, una serata che non era stata assolutamente bella, affascinante, eccitante come le altre. Una serata che aveva voglia di chiudere, e il prima possibile.
“L’ultimo pezzo parla di… diciamo una persona speciale. Tu come la definiresti, Corinne?”
“Ah, molto, molto speciale. Così speciale che si fa fatica a immaginarla.”
“Già, per molti è così. Ma vorrei che vi fermaste un attimo e vi guardaste attorno. Guardaste i vostri vicini, morfi, umani o quel che sono, e pensaste a quanto, nonostante le vostre differenze, alla fine siate fatti tutti della stessa pasta. Alla fine, tutti stanno male, tutti soffrono, tutti si divertono, tutti hanno le loro piccole e grandi avventure e disavventure quotidiane. E chiediamoci… e se Dio fosse uno di noi? Come lo trattereste? Come lo tratteremmo?”

If God had a name, what would it be
And would you call it to his face
If you were faced with him in all his glory
What would you ask if you had just one question
Capelli finalmente sciolti, Lillian afferrò il microfono e si limitò a lasciare che tutto lo stress della serata fluisse nella sua voce.
And yeah
Yeah
God is great
Yeah
Yeah
God is good
Yeah yeah yeah yeah yeah
What if God was one of us
Just a slob like one of us
Just a stranger on the bus
Trying to make his way home
Stranamente, Lillian si sentì a suo agio con la canzone. Per quanto inizialmente fosse tesa per l’idea di proporla, per il timore di introdurre temi che avrebbero potuto suscitare problemi, il pubblico stava seguendo e rispondendo nel modo giusto. Soprattutto, la voce di Joan Osborne sembrava avere il tono, la modulazione giusta per lei, per consentirle di adattarvisi in tutto e per tutto, come un vestito dalla taglia perfetta per lei. E questo le permise di mettere ancor più se stessa in ciò che cantava.
If God had a face what would it look like
And would you want to see
If seeing meant that you would have to believe
In things like heaven and in Jesus and the saints and all the prophets

And yeah
Yeah
God is great
Yeah
Yeah
God is good
yeah yeah yeah yeah yeah
What if God was one of us
Just a slob like one of us
Just a stranger on the bus
Trying to make his way home
He's trying to make his way home
Back up to heaven all alone
Nobody calling on the phone
Except for the Pope maybe in Rome
E per un attimo sentì la canzone, il suo senso, il suo significato, in tutta la sua forza. L’idea che Dio potesse essere semplicemente uno come loro, per di più un morfo, alla ricerca di un modo per tirare avanti nella giornata da solo, senza qualcuno che lo cercasse, che si interessasse di lui… non era poi così distante da come si era sentita lei molte volte, durante la sua vita. Aveva avuto due grandi fortune: la sua famiglia e i pochi, stretti amici che portava ancora con sé, e da cui non avrebbe mai voluto e potuto separarsi. Le uniche sue risorse, oltre a se stessa.
And yeah
Yeah
God is great
Yeah
Yeah
God is good
yeah yeah yeah yeah yeah
What if god was one of us
Just a slob like one of us
Just a stranger on the bus
Trying to make his way home
Just trying to make his way home

Like a holy rolling stone
Back up to heaven all alone
Just trying to make his way home
Nobody calling on the phone
Except for the Pope maybe in Rome


Quando il pubblico applaudì, scandendo in coro le iniziali del nome del gruppo, quando Nicholas si sistemò il ciuffo e le rivolse uno sguardo felice, pieno di emozioni, quando Mills rullò su una delle casse, Lillian capì che il concerto era finito.

La morfa vide Missy seduta a chiacchierare con altre due ragazze. Quando la giovane si accorse della sua presenza, si accomiatò e si alzò, correndole incontro e stringendole le mani. “L’ultima mi ha veramente… piegato, Lilly, davvero. Avevi una voce perfetta, era meravig…”
“E tu perché sei qui, ragazzina?” l’interruppe la morfa, puntandole contro un dito accusatore, ma col sorriso sulle labbra. “Non c’è l’esame di pianoforte, domani? Guarda che io non ci sarò, con te. Dovresti esercitarti.”
“Oh, al diavolo le esercitazioni, Lillian! Sentire te qui mi dà molta più carica e più voglia di farcela, davvero. Chi se ne frega di provare…”
“Non è questo l’atteggiamento giusto, signorina,” la redarguì Lillian. “Per questa volta passi, ma non ti azzardare a saltare altre esercitazioni. E se non passerai quell’esame saranno dolori, Missy: niente più concerti da qui al prossimo buon risultato. Mi hai capito?”
“Va bene,” chiuse l’altra, scostandosi una ciocca di capelli dal volto. “Hai ragione. Ma sono comunque contenta di essere venuta qui a sentirti, è stato un concerto meraviglioso.”
Lo sguardo di Lillian si addolcì. “Grazie, Missy. Sono contenta che ti piaccia. Ora però devo andare a casa, sono terribilmente stanca. In bocca al lupo per domani, allora.”
“Crepi! Penserò a…”
“A suonare.”
“A suonare, d’accordo.”
La morfa annuì, quindi tornò nella stanza di prove, dietro il palco, alla ricerca di Mills e della giacca che aveva portato per l’aria fredda della sera.
Trovò il cane seduto sul divano, da solo. “Eccoci qui,” gli disse. “Io sono pronta.”
“Io invece no,” le disse lui, lo sguardo torvo. “La macchina non parte.”
“Eh? Come non parte?”
“Non lo so,” rispose l’altro. “Non capisco, e onestamente sono stanco e non ho voglia di mettermi lì a… cercare il guasto. Ho già chiamato il carro attrezzi per farla portare via.”
“Ma così sei a piedi.”
“Sì, io posso anche andare per conto mio. Ma mi dispiace, Lilly… hai voglia di fare la strada con me? Potrei comunque prima accompagnarti a casa.”
“Volentieri,” rispose lei. “Metto la giacca. Mi aspetti fuori?”
“Va bene,” disse l’altro, alzandosi. “Scusami, davvero.”
“Non è colpa tua, Mills.”
Lillian indossò la giacca e uscì dalla stanza.
“Lilly?” si sentì chiamare. Si voltò, notando Ivan che correva nella sua direzione. “Eccoti, ti ho cercata dappertutto.”
“Ivan! Anche oggi eri qui?”
“Non mi va di perdermi i tuoi concerti.”
“Avete tutti questo vizio. Ehi, domani hai l’esame dall’istituto. Perché non sei in casa a provare?”
“Ho provato tutto il giorno, avevo bisogno di staccare e… e di sentirti un po’.”
“Grazie. Sei uno studente che mi piace, bravo Ivan.”
“Hai… hai bisogno di un passaggio? Ero venuto per chiedertelo, perché io sto tornando a casa, sai…”
“Ho bisogno… be’, sì, io e un mio amico, il batterista, siamo rimasti appiedati. Saresti molto gentile, se…”
“Oh, certo, nessun problema, assolutamente,” fece il ragazzo. “Dobbiamo aspettarlo da qualche parte?”
“E’ fuori, stava aspettando me perché pensavamo di andare a piedi.”
“Andiamo, allora.”
Lillian notò che Mills aveva drizzato le orecchie appena aveva visto Ivan uscire con lei, e si ricordò di quanto il cane fosse sospettoso nei confronti del ragazzo. Si morse il labbro: forse non era stata una grande idea, quella di chiedere per entrambi un passaggio. “Uh, Mills, Ivan ci può… ci può dare un passaggio, sai?”
“Sì, ho la macchina qui vicino.”
“Sì, ok… grazie mille.”
“Che scema. Mills, lui è Ivan, il mio… il mio studente. Ivan, lui è Mills, il nostro ottimo batterista.”
I due si strinsero la mano. Alla morfa sembrò, per un attimo, che gli occhi del pastore tedesco stessero mandando scintille in direzione di Ivan.
Ivan condusse prima Mills a casa, in silenzio, accompagnati solo dal sottofondo della radio. Lillian, seduta nel sedile posteriore, non riuscì a trovare il modo per rompere il ghiaccio, per spezzare il gelo che sentiva essersi creato all’interno della macchina. Un gelo tangibile, quasi fisico. Si salutarono, quindi Lillian salì sul sedile anteriore, a fianco di Ivan.
Ivan si fermò di fronte casa della morfa. “E’ stata una bella serata, no?” le chiese.
“Sì, bella. Sono molto stanca, però. Non vedo l’ora di andare a dormire.”
“Già, anche io. Abbiamo tutti e due… un valido motivo per farlo, eh?”
Lillian iniziò a ridere, ma si fermò immediatamente appena sentì il tocco della mano di Ivan sulla sua coscia. Lo guardò, osservandolo bene da sotto la coltre di capelli. Il cuore le si strinse nel petto, smettendo di battere per un istante. La tasso si scostò i capelli dagli occhi, rivolgendo al ragazzo uno sguardo in parte perplesso, in parte pieno di speranza. Uno sguardo che diceva chiaramente: “ti prego, fai che sia quello che penso.”
“Lillian, io… C’è una cosa che vorrei dirti.”
“Tutto quello che vuoi.”
“E’ buffo, perché… non so come dirtela, perché non so come potresti prenderla…”
“Dilla nel modo più semplice che puoi, allora. E non aver paura.”
Lui la baciò, e tutto attorno esplose.
Lei sorrise, gli occhi socchiusi, il sapore del bacio che ancora vagava sulle sue labbra, lieve. Rise. “Ancora, per favore,” sussurrò. Lui non si fece attendere, e la baciò nuovamente. “Allora è vero,”
fece lei. “Dimmi che è vero.”
“Lo è.”
“Era… questo, che volevi dirmi?”
Lui le passò un braccio attorno alle spalle. “Sì. E da un po’ di tempo.”
“E perché hai aspettato?”
“Perché non sapevo come… insomma, non c’è mai stata una signorina Matheson, finora, e neanche io…”
“Anche io devo dirti qualcosa, Ivan. Ma… be’ con le parole sono più brava di te. Tu mi sei sempre piaciuto,” gli confessò, senza riuscire a guardarlo negli occhi. “Ma ho sempre cercato di… tenerti in qualche modo distante, perché… cazzo, io sono una morfa, non dovrebbe essere normale… naturale…”
“Smettila di pensare in questo modo.”
“Ma è vero, Ivan. Guardami,” gli disse, alzando gli occhi verso di lui. “Io non sono umana. Come potevo pensare che tu ricambiassi? Non ho neanche… insomma, al di là di tutto, non sono quello che definiresti una gran bella ragazza… Non potevo immaginare che… che potessi avere una speranza con te.”
Ivan sorrise. “Vedi invece che le cose non stanno come pensavi.”
Lei gli si accoccolò sul petto. “E ne sono ben felice. Ti amo, Ivan.”

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