mercoledì, agosto 17, 2011

Capitolo 54 – Lillian scappa


“Mills, me ne sto andando,” disse Lillian, sbrigativamente, chiudendo la porta di casa.
“Lilly, cosa stai facendo…”
“Non ho intenzione di farmi dar giudizi su quel che sto facendo. Non oggi, Mills,” disse, con più rabbia di quella che avrebbe voluto usare. La voce le tremava.
“Ma…” Il cane la fissò per qualche istante, senza parlare. Poi abbassò coda e orecchie. “Non vuoi che ti dia almeno una mano con… una mano con le valigie?”
“No, grazie. Non voglio l'aiuto di nessuno. Ho passato anni della mia vita ad aiutare gli altri e cosa ne ho ottenuto in cambio? Solo della gran merda. Sai cosa ti dico, Mills? Che potete andare a farvi fottere, tutti quanti.”
“Ma...” Mills si trovò senza parole. Immaginava la sua rabbia, ma non comprendeva perché se la stesse prendendo proprio con lui. “Lilly, noi non ti abbiamo fatto nulla...”
“No, certo. Tu poi te la stavi godendo con quella sciacquetta, vero? Tu avevi la tua amichetta, in tutto questo. Mentre Ivan mi lanciava addosso molotov.”
“Stai ancora tirando fuori la storia di Corinne? Ti ho già detto che ha fatto tutto lei, io non c'entro nulla!”
“Tu non l'hai di certo fermata.”
“Sì che l'ho fatto!” protestò il cane. “Ma poi, perché sei gelosa di lei? Che senso ha? E poi non è questo il problema. Lilly, stai scaricando la tua rabbia sulle persone sbagliate,” l'ammonì. “Ti vogliamo bene, Lilly. Tutti…”
“Anche Ivan lo diceva,” fece Lillian. “Eppure…” Lillian sospirò. “Non lo so, Mills, ma francamente ora come ora non mi interessa. Lasciami andare, ho un treno che mi aspetta e vorrei essere dai miei per un'ora decente.”
“Posso...”
“Ho già detto di no. Lasciami stare, Mills, lasciami perdere. Tornerò se e quando starò meglio.”

Annabel l’abbracciò, avvolgendola fra le sue braccia. “Cucciola,” disse. “Qui sei fra di noi. Va tutto bene.”
“Lo so,” rispose Lillian, prima di scoppiare a piangere.
“Vieni in casa, ora. Papà è dentro, ti sta aspettando,” disse Corinna, aiutando sua figlia con le valigie. “Come è andato il viaggio?”
“Bene, mamma. Ma sono stanca.”
“Vieni, va bene, il tuo letto è già pronto.”
Si addormentò subito, dopo le ore di treno passate in solitudine, senza chiudere occhio, nel timore che chiunque le si avvicinasse potesse farle del male. Aveva portato due valigie, cariche di qualsiasi abito le fosse capitato a tiro, senza pensare a tempi e modi. Voleva solo stare nell’unico luogo che riteneva sicuro sulla faccia della Terra: casa dei suoi. Di loro poteva essere certa: non le avrebbero mai potuto fare del male, neanche se avessero voluto.
Li aveva chiamati, li aveva avvertiti. Sulle prime, avevano cercato di farla ragionare, di calmarla, si erano proposti di venire loro stessi a Londra, ma lei si era opposta. E, una volta salita sul treno, c’era poco che Gregory e Annabel potessero fare per farle cambiare idea.

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