lunedì, maggio 23, 2011

Capitolo 28 – Lillian torna in accademia

“Fran? Ciao, sono Lilly.”
“Ehi, signorina! Buonasera!”
“Fai qualcosa domani mattina e domani sera?” le chiese Lillian.
“Uh… domani è Venerdì, giusto?”
“Sì.”
“No, dovrei essere libera in entrambi i momenti. Ho il giorno libero. Perché?”
“Perché vorrei tornare con te in accademia. Sai, l’accademia Hewson, quella dei disegni.”
“Come mai? Dì la verità, ti manca la possibilità di poter posare, vero?”
Lillian rise. “No, proprio per niente! Ma volevo vedere se… volevo uno dei miei disegni.”
“E’ un’ottima idea. Ti accompagno volentieri. E… per la sera?”
“Solito posto, solita gente. Ti va?”
“Si festeggia qualcosa?”
“Oh, sì, direi di sì.”

Avere intrapreso finalmente il progetto relativo al gruppo di soli morfi aveva reso Lillian più coraggiosa. Si sentiva finalmente uscita dal guscio: si doveva confrontare ad ogni concerto con un pubblico, con qualcuno che avrebbe potuto giudicarla, per quel che era e per ciò che faceva. Nel farlo, dopo le prime due esibizioni, aveva compreso che alla fine dei conti non le interessava ciò che gli altri potevano dire: lei aveva se stessa e la propria musica, e ciò le bastava per sentirsi libera e felice.
Si sentiva più sicura ogni volta che si guardava allo specchio e ogni volta che coglieva gli sguardi degli altri su di sé. Si rendeva conto di essere oggetto di studio da parte di molti esseri umani, ma quello studio non la metteva più in soggezione, non la faceva più sentire inferiore, un problema, una macchia, come talvolta le accadeva in passato: si limitava piuttosto a registrare la cosa, passando oltre e continuando a vivere la propria vita.
Era felice di questo, ma aveva avuto comunque bisogno di superare un altro scoglio: l’immagine che aveva di sé. Posare nuda la prima volta all’accademia le aveva fatto scattare qualcosa dentro, qualcosa di profondo che aveva continuato a vibrare ancora per molto tempo: possibile che lei non fosse così sgraziata, così goffa come si vedeva? Possibile che quei fianchi larghi, che la sua bassa statura e quelle zampe un po’ troppo grosse non fossero alla fine poi così male? Dopotutto, erano parti di se stessa, perché avrebbe dovuto odiarle?
Lillian aveva deciso che avrebbe fatto esattamente come Francine: avrebbe preso alcuni dei disegni che la raffiguravano e li avrebbe tenuti in casa per sé. In fondo, aveva passato più di una giornata a posare per l’accademia, prima che gli impegni con l’istituto di musica le togliessero il tempo che vi poteva dedicare. Era un modo per potersi dire “ecco, gli altri mi vedono così, e va benissimo, è tutto ok.”
Così, la tasso e l’orsa attraversarono  quel Venerdì il corridoio che conduceva all’aula James Hewson, una grande stanza molto illuminata in cui venivano appesi i disegni di esercizio degli alunni con modelli morfi, ed entrarono.
La giornata di sole, rara in quel periodo a Londra, illuminava con toni accesi i disegni alle pareti. Quelli su Francine erano appesi sulla parete sinistra, quelli di Lillian su quella di destra.
“Ci siamo solo noi…?” si chiese Lillian, a voce alta.
“Strano, vero?” le fece eco Francine. “Pensavo che più morfi venissero qui.”
“Magari non sono belli come noi.”
“Non stento a crederlo.”
Mentre le due amiche confabulavano, commentando i disegni, sentirono qualcuno schiarirsi la gola, dietro di loro. Lillian si voltò, vedendo sulla soglia fare capolino un uomo di età avanzata, quasi calvo, appesantito dagli anni, che si appoggiava su un bastone tenuto sulla destra.
“Mi spiace interrompervi, signorine, ma ho sentito una voce particolare che mi ha incuriosito,” disse l’uomo, arrancando verso di loro. “Mi chiamo Gregory Hewson, sono il direttore di quest’accademia.”
Le due ragazze lo salutarono. “I suoi alunni sono… bravissimi,” commentò Francine. “Stavamo ammirando i loro disegni. Siamo due delle loro ultime… modelle.”
“Ah, lo vedo bene, signorina, lo vedo bene. Non voglio mancarle di rispetto, mi perdoni, ma è la voce della sua amica che mi interessa. Signorina, se la mente non m’inganna, lei è… un tasso, giusto?”
“Sì, signor Hewson.”
“E… per caso, si è esibita con un gruppo musicale ultimamente in un locale nei pressi di questa accademia?”
“Sì, signor Hewson,” confermò Lillian, insospettita. “Abbiamo… disturbato qualcuno? Pensavamo che l’accademia fosse deserta a quell’ora, le chiedo…”
“No, nessun disturbo, signorina, nessun disturbo,” l’interruppe l’uomo. “L’accademia era effettivamente chiusa. Ma al suo concerto era presente mio figlio Andrew, e mi ha descritto la vostra esibizione come… semplicemente ottima. E’ la prima volta che sento parlare di un gruppo composto di soli morfi qui a Londra, e la cosa mi interessa molto.”
“La ringrazio, signor Hewson,” disse Lillian, compiaciuta.
L’uomo tacque, rimanendo ad osservare i disegni appesi con un’aria tranquilla, quasi malinconica. “Le posso fare una domanda, signor Hewson?” disse Francine.
“Ma certamente, signorina. Sarò lieto di risponderle, per quanto possibile.”
“Come mai i dipinti e i disegni in quest’aula… sono solo su morfi?”
L’uomo chinò il capo. “E’ una mia scelta personale, signorina.” Si voltò verso il centro della stanza, cercando con lo sguardo qualcosa; non trovandolo, scosse la testa, andò presso una delle pareti e vi si appoggiò con la schiena. “Un giorno… un giorno qualcuno metterà qui dentro delle sedie, delle poltrone o dei sofà, ascoltando la mia proposta. Allora sarò felice, per molti motivi diversi,” commentò. “Ho scelto io, dicevo, di dedicare quest’aula alle opere sui morfi. Il nome che vedete sulla targa all’ingresso è quello di mio nipote James. Il povero James era uno di voi.”
“Era?”
“Il piccolo James era un cucciolo adorabile. Ma la sua nascita è stata funestata da una serie di eventi che l’hanno resa un evento assai poco piacevole per la sua famiglia. Era nato il 6 di Luglio 1983; James era un morfo di prima generazione, all’incirca come voi, se stimo correttamente la vostra età. Allora si sapeva ancora assai poco su di voi: eravate in circolazione da pochi mesi…”
“Io sono nata in Marzo,” confermò Lillian. “E Francine in Ottobre.”
Hewson annuì. “Sua madre ebbe delle complicazioni durante la gravidanza, dovute probabilmente alla natura del piccolo James; arrivò in ospedale in stato di incoscienza, dando alla luce mio nipote poche ore dopo, ormai in coma. Morì tre giorni dopo.
“Il piccolo James… Non dovette attendere molto per seguire sua madre, purtroppo.”
“Oh…”
“Morì poco dopo aver compiuto due anni, dopo un mese trascorso in reparto di terapia intensiva. Insufficienza cardiaca e renale, dissero i medici; non ce l’avrebbe mai fatta.” Hewson fece una pausa. “Fu il colpo di grazia per mio figlio Vernon, suo padre, il colpo di grazia. Si ritirò in manicomio, dove vive tutt’ora, dopo aver tentato il suicidio. I suoi sogni più grandi, sua moglie e suo figlio, la sua famiglia, si erano infranti ancor prima di incominciare. Si sentiva così vuoto che gli sembrava di essere divenuto di vetro. Non era in grado di sopportare la sua vita.” L’uomo si risollevò, prendendo un gran respiro. “La sorte di mio nipote passò in sordina. I medici non fecero abbastanza per salvarlo, perché non era un essere umano e nessuno voleva avere a che fare con lui. Per questo ho deciso di donargli quest’aula: anche se questo edificio non esisterà per sempre, il suo nome vivrà ancora, e sarà di supporto per la bellezza del mondo dei morfi, di tutti quanti.” Passò i suoi occhi chiari prima su Francine, quindi su Lillian. “In questa accademia si celebra l’arte, che è la celebrazione delle emozioni e dell’estetica; quest’aula è speciale: è la galleria principale delle emozioni e dell’estetica dei morfi, patrocinata da mio nipote. E tale rimarrà finché questo edificio sarà in piedi, signorine.”
“Ma perché, signor Hewson, qui ci sono solo artisti umani?”
“Perché molti morfi fanno fatica a tenere in mano correttamente penne e pennelli, signorine mie. Non ci avete mai fatto caso?” Lillian si guardò le mani, riflettendo sulla differenza con quelle umane. Sebbene le proporzioni e la struttura fossero molto simili, le sue e quelle di molti altri morfi come lei erano più tozze della media per gli esseri umani. Si ricordò di quanto facesse fatica, agli inizi dei suoi anni scolastici, a tenere in mano la penna e a quanto la stancasse scrivere. Il discorso di Hewson aveva senso, dopotutto. “E il mondo di chi produce oggetti per l'arte non ha ancora capito il vostro potenziale, non si è ancora convinto che anche i morfi possono fare arte, ma per farla hanno bisogno di una attrezzatura specifica, disegnata su misura per loro. Per questo, secondo me, purtroppo nei prossimi anni ci saranno ancora quasi solo artisti umani, e troppo pochi artisti morfi. Il che, signorine mie, è un grosso, grosso peccato. Una perdita.”
Lillian si voltò verso i disegni che la raffiguravano, appesi alla parete. Ne indicò uno ad Hewson, in cui l'artista l'aveva raffigurata nell'atto di lasciare in terra una maglia, mentre con un braccio si copriva il seno. “Posso prendere quel disegno, signor Hewson?”
“Li può prendere tutti, se vuole, signorina.”

“Sorpresa,” fece Lillian.
“Lilly?” Ma che ci fai qui?” le rispose Mills, guardando l’orologio. “Avrei dovuto… passare io a prenderti.”
Lei si strinse nelle spalle. “Avevo voglia di camminare. Così sono uscita prima e sono venuta direttamente da te.”
Il cane tacque per qualche istante. “Mi cambio e arrivo. Vuoi entrare?”
“No, tranquillo, aspetto fuori.”
“Arrivo.”
Nel giro di pochi minuti, Mills fu fuori di casa, indossando la sua giacca. “Davvero, non mi aspettavo di trovarti qui.”
“Contento?”
“A… ammetto di sì,” rispose lui.
Lillian sorrise. “Bene. Mi ci voleva una passeggiata. Ho anche diverse cose da raccontarti,” disse, appoggiandosi alla macchina del ragazzo e iniziando a raccontargli della mattinata.  “E' stato un momento strano,” concluse poi.
“Immagino,” le fece Mills, che aveva ascoltato per tutto il tempo in silenzio. “Non capita tutti i giorni di sentirsi raccontare cose simili, no?”
“No, per niente. Non riesco a immaginare il dolore che deve aver provato quell'uomo... suo figlio è in manicomio. Ci si è rinchiuso lui... Deve essere stato tremendo, perdere prima la moglie e poi il figlio...” considerò Lillian, cercando di osservare qualche rara stella nel cielo della sera.
“Una famiglia distrutta.”
“Cancellata totalmente.” Lillian tacque per qualche momento, lo sguardo basso. “Sai, Mills, ogni tanto... mi chiedo perché siamo nati.”
“Non è una domanda troppo filosofica da porsi dopo una serata così, Lilly?”
“No, non lo è. E non è neanche filosofica. Non sto parlando dei motivi per cui vivere, ma mi chiedo: cosa è successo 27 anni fa? Cosa sta succedendo alle persone da 27 anni? Perché nascono i morfi?”
Mills si strinse nelle spalle, aprendole la portiera. “Non lo so. E non lo sa nessuno, secondo me, anche se tutti si sono fatti delle grandi teorie,” proseguì, mentre entrava in macchina a sua volta. “C'è solo una cosa che si sa per certo: il posto in cui i tuoi sono stati una settimana prima che ti concepissero determina che morfo sarai.”
Lillian lo guardò incuriosita. “Davvero?”
Lui annuì, avviando la macchina. “Sì. Me lo ha raccontato un tizio un paio di anni fa. Ero andato a questa conferenza a Birmingham, con degli amici...”
“Sì, mi ricordo.”
“Ecco. Ero lì, e ho visto questa conferenza da solo perché mi incuriosiva tantissimo. E c'era questo tizio, un biologo, un medico, una cosa del genere, che parlava dei risultati di questa ricerca che aveva fatto. Aveva capito che il posto in cui tuo padre è andato sei, sette giorni prima del concepimento lascia qualche tipo di… traccia su di lui. Un qualcosa sul DNA, adesso non mi ricordo.”
“Quindi, sei o sette giorni prima che io venissi concepita, mio padre è stato in un posto in cui c'erano dei tassi...” rifletté Lillian.
“E per me con dei cani. E la cosa ha senso: pensa a tutti quelli che vivono in città e che hanno quindi un figlio che è un cane, un gatto, un topo o qualcosa del genere, e pensa invece a quanti vivono fuori e hanno figli che sono morfi con animali diversi. Un mio amico, per esempio, non lo conosci, vive con i suoi nel loro ranch in America, ed è un toro; guadacaso, nel loro ranch hanno due tori da monta.”
“Una cosa abbastanza curiosa…” Lillian si chiese se nei boschi attorno ad Edimburgo fossero presenti dei tassi: si sarebbe informata. Era sempre stata piuttosto curiosa di capire cosa fosse accaduto a lei e ai suoi simili. “E Jules?”
“Be’, suo padre prima di sposarsi lavorava per una compagnia che si occupa di derattizzazione.”
Lillian ridacchiò. “No, dai, sul serio.”
“Sono serio. Mio padre lo conosce molto bene,” disse. “Ci ha lavorato anche lui, ma molto prima di conoscere mia madre. Sono certo che Jules è un topo proprio per quello.”
“Non ci posso credere… A proposito di Jules… secondo te è vero che fra lui e Claire c’è qualcosa?”
Mills annuì. “Ne sono certo.”
“Da cosa… cosa te lo fa pensare?”
“Be’, ci sono una serie di fattori. Il modo in cui si comportano quando sono insieme, il modo in cui si guardano e si parlano… e il fatto che un mio amico li ha visti baciarsi ad Hyde Park, due settimane fa.”
Lillian esplose in una risata di cuore. “Sì! Lo sapevo!”
“Lo sapevi già?”
“No, dico… lo immaginavo, ne ero certa!”

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