martedì, luglio 19, 2011

Capitolo 34 – Lillian alla sua prima cena galante

Mills la aspettava sulla porta di casa. Era sicura che l’avesse vista arrivare, così non cercò di nascondere la margherita che teneva in mano.
“Be’, mi hai fregato,” gli disse, avvicinandosi al cane. “Speravo fossi in casa, non immaginavo mi aspettassi addirittura sulla porta.”
“Ieri ero un po’ preo… e quello?” fece il morfo, indicando il fiore.
Lei glielo porse, cercando di non guardarlo negli occhi. “Volevo chiederti scusa per la figura di merda fatta ieri sera… e per avermi dovuto portare fino a casa.”
Mills rise. Era più un latrato felice che una vera e propria risata, ma Lillian sapeva che era il suo modo di dimostrare reale divertimento. “Non c’è niente da ridere, Mills,” replicò lei. “Mi sono veramente vergognata quando me lo hanno raccontato, stamattina.”
“Ma dai. Eri solo ubriaca, Lilly. Grazie per il fiore, comunque,” rispose lui, prendendolo in mano. “Ha un ottimo profumo. Ti va qualcosa? Niente alcolici, ovviamente.”
“Mi stai invitando?”
“Be’, sai, non mi piace far stare la gente sulla porta di casa, se devo essere onesto. Men che meno le amiche.”
“Non disturbo?”
“A parte che tu non disturberesti mai, Lillian Edgecombe, ma se ti invito è proprio perché so che non disturbi. Sono solo in casa, stavo facendo un po’ di pulizie.”
Lillian lo seguì dentro, chiudendosi la porta alle spalle mentre il cane infilava la margherita in un vaso di vetro pieno per metà d’acqua. “Non mi hanno mai… E’ la prima volta che qualcuno mi regala un fiore, sai?”
“Davvero? Neanche una tua… ragazza?”
Lui fece un gesto con la mano, come a scacciare una mosca fastidiosa. “Nah. Mai avuto ragazze particolarmente… romantiche,” disse, sparendo poi dietro la tendina della cucina. “E io non sono mai stato attento a queste cose. Siediti pure dove vuoi, Lilly, non farti problemi. E sposta pure i cuscini: mia madre li adora, ma per me servono solo a prender polvere.”
“Come facevi a sapere che ero in piedi?” gli chiese mentre tornava con una caraffa di tè freddo e due bicchieri.
Lui si strinse nelle spalle. “Penso di conoscerti abbastanza bene da immaginare che non ti saresti seduta se non te lo avessi detto io per primo. E perché conosco tutti i cigolii che questo vecchio divano fa quando qualcuno ci si siede sopra.”
“E immagino che col mio peso ne avrebbe fatti…”
“Smettila,” l’interruppe Mills, porgendole un bicchiere di tè. “Stai benissimo così. La dieta sta funzionando, direi.”
“Da cosa l’hai notato?”
“Il vestito di ieri sera,” fece lui.
“Devo dedurre che continui a guardarmi il culo durante il concerto?”
Mills dovette farsi forza per deglutire senza strangolarsi. “Ma Lilly…” La tasso scoppiò a ridere. “Cazzo, cosa pretendi che faccia? Che suoni bendato? Passo un’ora e mezzo a… a pestare su piatti e tamburi con voi due davanti. Mi spiace per voi, ma non sono Ray Charles. Se non volete che vi guardi, cantate dietro di me!”
“Mills, sto giocando. Non prendertela. Buono questo tè, ma… come mai tè freddo in questo periodo dell’anno?”
“Mia madre ha preso l’abitudine di alzare il riscaldamento a livello Sahara. Dice che sente freddo tutto il tempo. Almeno così evitiamo di morire per il caldo. Ne vuoi di caldo, per caso?”
“No, davvero, grazie, Mills. Ero solo passata per scusarmi, tutto qua. Sei stato molto gentile.”
“Figurati. A che servono… gli amici, dopotutto?”

Davvero il vestito le stava meglio rispetto al mese scorso?
Lillian lo aveva indossato nuovamente, questa volta di fronte allo specchio, nella calma della sua stanza. A malapena percepiva i rumori provenienti dall’esterno, e voleva prendersi un attimo di tempo, prima di prepararsi per la cena con Ivan, per controllare se fosse vero quel che le aveva riferito Mills.
Effettivamente, lo sentiva e lo vedeva meno aderente, soprattutto su ventre e fianchi. Non era un gran cambiamento, ma era visibile, e dunque era ben più che soddisfacente. A quanto sembrava, la sua dieta, nonostante le birre di troppo, stava funzionando.

Ivan l’aspettava già fuori dalla porta di casa, a motore acceso. Doveva essere arrivato da poco, o così sperava la morfa, che odiava l’idea di essere in ritardo proprio al suo primo simil-appuntamento. Per quella sera non avrebbe indossato l’abito del concerto, ma aveva optato per la stessa mise che aveva scelto all’inizio dell’anno per far colpo sul ragazzo: camicetta bianca e gonna scura al ginocchio. Era ben conscia che fuori di casa avrebbe avuto freddo, ma sperava di non uscire dal villino se non per tornarsene a letto. Aveva solo aggiunto un cerchietto decorato con una farfalla di strass per tenere in piega i capelli, ma aveva comunque il terrore di essere troppo precisa, troppo…
“Ciao Ivan. Mi aspetti da molto?”
“Un paio di minuti,” disse lui, che indossava un impermeabile nero lungo fino alle caviglie, mentre le apriva la portiera. “Non avrai freddo così?”
“Be’, finché staremo in casa, spero di no.”
“Stai benissimo così,” le disse il ragazzo, avviando il motore. “A dire il vero, pensavo ad una cena più… in amicizia, ecco. Ma va bene così, sei… stai davvero bene, davvero,” si affrettò ad aggiungere, notando che lei accennava a ribattere. Il cuore della tasso perse un colpo notando che Ivan si stava trattenendo: cosa avrebbe voluto dire al posto di “stai davvero bene?” Cercò di evitare di pensarci, virando il discorso sul concerto durante il giro in macchina.
Una volta arrivati in casa, Ivan la fece accomodare subito in sala da pranzo, mentre lui andava a scaldare quel che aveva preparato. Il tavolo era stato apparecchiato con gran cura: una tovaglia bianca dai bordi di pizzo, posta vicino alla grande finestra che dava sul giardinetto, calici e bicchieri per l’acqua, un set completo di posate… E, presso uno dei due posti, una gran lattina di birra posta in un contenitore pieno di ghiaccio. Il particolare incuriosì la morfa, che andò a leggerne la marca.
“Beamish?” chiese al ragazzo, appena questo tornò dalla cucina con un vassoio di tartine. “Ehi, grazie per la considerazione…”
“Non pensavo di offenderti,” replicò l’altro, aggrottando la fronte.
“Offendermi? No, Ivan, davvero!” Lillian rise. “Ti stavo ringraziando sul serio: ti sei ricordato che mi piace la birra scura.”
“Ah, sì. Per un attimo mi sono spaventato,” fece lui, sedendosi e invitandola con un cenno a fare altrettanto. “Volevo fare un po’ colpo su di te, lo ammetto: così ho evitato di prendere una Guinness e ho scelto qualcosa di diverso. Spero ti piaccia.”
“E’ stata una ottima idea,” commentò lei. “Mi piace l’iniziativa,” aggiunse, versandosi della birra nel calice. “In genere preferisco la Guinness, ma non mi faccio problemi nel cambiare, ogni tanto.”
“Serviti pure, Lilly, le ho fatte io.”
La morfa si chiese perché il ragazzo si fosse preso la briga di fare delle tartine da solo, e prepararle con una precisione che non avrebbe sfigurato in un locale di classe, per una semplice “cena in amicizia.” Non voleva darsi false speranze, ma non riusciva neanche a non tenere in considerazione quelle che vedeva come palesi incongruenze. Olive, formaggio e caviale facevano capolino qua e la sopra pan da toast e vol-au-vent; non era mai stata amante delle tartine, ma non voleva neanche che il ragazzo vedesse sminuita la sua fatica: assaggiò un po’ di tutto.
Ivan si rivelò un cuoco di discreta capacità, e di sicura pazienza, portando a tavola fettuccine al pesto e un arrosto di vitello. Lillian scoprì di non amare il pesto e che la Beamish non vi si adattava, ma tenne in gran considerazione le proposte. Il ragazzo confessò di non aver preparato dolci perché non ne era capace, e che non gli andava di comperarne. “Volevo che tu vedessi che sono in grado di farcela da solo,” disse.
Lillian inarcò un sopracciglio. “Ammirevole, Ivan, ma… perché vuoi mostrarlo a me?”
“Perché molti pensano che io sia uno di quei… figli di papà che hanno tutto ma non sanno far niente, uno di quelli che si trova dove si trova non per le… le sue capacità ma solo perché c’è paparino che pensa a tutto.”
“Non devi mostrare questo a me, Ivan,” gli disse lei, giocherellando con il bicchiere ma tenendo lo sguardo fisso su di lui. “Io ho visto di che pasta sei fatto e mi fido di te e delle tue capacità. Una pizza in compagnia mi sarebbe andata più che bene, l’importante… è divertirsi e godersi un po’ di compagnia, no?” Avrebbe tanto, tanto, tanto voluto dire “l’importante è essere me e te,” ma si costrinse a trattenersi. “Ma sei un ottimo ospite, davvero. Grazie, hai preparato una cena buonissima.”
“Mi spiace per le fettuccine,” disse l’altro. “Non immaginavo non ti piacesse il pesto.”
“Se ti può consolare, non ne avevo idea neanche io,” gli confessò lei. “E’ la prima volta che lo provo. Vedi? Mi hai anche fatto provare qualcosa di nuovo.”
Ivan rise. “Be’, è positivo. Non mi dispiacerebbe ripetere questa cena, è stata… molto piacevole.”
“Anche per me, Ivan. Le tue ragazze saranno fortunate, se le tratterai come hai trattato me stasera, dopotutto.”
“Per ora mi basta sapere che è piaciuta a te. Di altre ragazze per ora non mi interesso.” 

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