giovedì, luglio 21, 2011

Capitolo 36 – Lillian si pone dei problemi

Era inutile negare che la “chiacchierata” avuta con Corinna durante le prove mancate il giorno precedente avesse scosso Lillian, che non riusciva a concentrarsi sul modo in cui Missy stava cercando di suonare uno spartito di Mozart. Avrebbe dovuto essere un compito semplice, ma la ragazza continuava a sbagliare; sbagliando si innervosiva, perché desiderava far colpo sulla sua educatrice, e innervosendosi non riusciva a suonare al meglio delle sue capacità, e quindi finiva col continuare a commettere errori.
Lillian si rese conto della cosa solo quando la ragazza, in un gesto di stizza, coprì di botto la tastiera dello strumento, svegliandosi dalle sue riflessioni. “Cos’ho che non va, oggi?”
La morfa cercò di riscuotersi dai suoi pensieri, sciogliendo la coda di cavallo in cui aveva raccolto i capelli mentre cercava di far emergere dai suoi ricordi quel che era trapelato nel suo sistema uditivo dell’esecuzione di Missy. Per sua fortuna, era riuscita a cogliere diversi stralci della sonata, stralci in cui erano compresi gli errori della giovane, e le fu sufficiente osservarla in volto per capire cosa non andasse. “Sei nervosa. Ecco perché oggi non carburi, Missy. Ma è normale, non si può essere al cento per cento tutti i giorni, no?”
“Lo so, lo so, ma volevo… volevo farti vedere che mi sono applicata, ecco.”
“Ma io mi fido di te, Missy. Ultimamente vedo meno concentrazione da parte tua, questo sì, ma penso sia solo un periodo. Almeno lo spero. Se c’è qualcosa che non va, non hai che da dirmelo, Missy: magari si può risolvere con una chiacchierata.”
“No, è…” Sbuffò, poi accennò a un sorriso. “Ragazzi. Gente strana. Ecco cosa c’è.”
“Giovani cuori in tumulto?”
“Sì, diciamo di sì.”
Le pose una mano sulla spalla. “Benvenuta nel club. Se ti può consolare, anche io sono nervosa, oggi. E anche io sono del gruppo dei “cuori in tumulto,” anche se il mio è un po’ meno giovane del tuo.”
Il volto di Missy si illuminò. “Davvero? Pensavo fossi una single lady.”
“Be’, sì, lo sono ancora, in effetti.”
“Ma…?”
“Ma… c’è una persona che si comporta in modo strano con me. Se fossi… insomma, se fossi umana potrei anche provare a fare un passo avanti e…” Lillian scoppiò a ridere. “Io non dovrei essere qui a parlarti dei miei problemi amorosi. Tua madre mi paga perché tu impari a suonare…”
“’fanculo mia madre, Lillian. E’ anche per colpa sua se oggi sono nervosa, quindi per una volta può benissimo fottersi e lasciarci parlare tranquillamente delle nostre cose.”
“Poi però torniamo a suonare.”
Missy si pose la mano destra sul cuore. “Giuro.”
“D’accordo.”
“Stavi dicendo di fare passi avanti.”
“Sì, pensavo… insomma, se fossi umana, non mi dovrei porre di questi problemi, no? Dovrei… solo andare da lui e… mettere le cose in chiaro?”
“Ma lui… è umano?” chiese Missy, sottovoce.
“Sì.”
“Ah, ecco,” replicò la ragazza, annuendo vigorosamente.
“Perché quella faccia?”
“Una mia amica… anche lei è nella tua situazione. E’ completamente persa, persa ti dico, per questo ragazzo, solo che lei è una morfa.”
“Povera. Posso capirla.”
“Ma perché, mi chiedo? Insomma, non puoi comandare al cuore e cose del genere, no? Quindi, perché non andate da loro e basta, cercate di mettere le cose in chiaro come dicevi tu e basta, no?”
“Missy, per lo stesso motivo gli omosessuali hanno sempre fatto tanta fatica ad uscire dal baratro in cui molti etero li hanno da sempre infilati. I morfi sono venuti dopo, per certe cose abbiamo avuto vita più facile, ma il concetto rimane sempre quello: la gente ha paura di ciò che le è estraneo, e non sopporta che qualcuno gli cambi la terra sotto i piedi. Per sempre si è pensato che non fosse lecito concepire che una persona potesse provare sentimenti verso qualcuno del suo stesso sesso, e da quando noi morfi siamo apparsi si è pensato che gli umani fossero di esclusivo appannaggio degli esseri umani… ma non è scritto da nessuna parte, in fondo,” concluse. “Non è scritto da nessuna parte.”
“Giusto,” convenne Missy. “Ma allora, ancora di più, perché non lo fai?”
“Perché… perché ho paura,” confessò Lillian.
“Di cosa?”
La morfa incrociò le braccia. “Mille cose, tutte insieme: di prendere un grosso abbaglio dovuto al fatto che sono io a provare qualcosa per lui, ma potrei completamente sbagliarmi su di lui; di… procurargli un danno, cercando di essere con lui… di… tante cose,” disse quindi, poco convinta. Parlandone si era resa conto del fatto che, in effetti, non aveva poi nulla di specifico da perdere nel provare a chiarire le cose con Ivan. Di cosa aveva paura, realmente? Fondamentalmente, di essere rifiutata, ma era un timore minimo: le era accaduto così spesso in 28 anni da esservi ormai praticamente abituata. Il suo vero, profondo timore era piuttosto quello di essere additata assieme a lui come qualcosa di innaturale: quello sì che le avrebbe fatto male, quello poteva essere un peso che avrebbe fatto fatica a sopportare. Per una volta che aveva qualcosa, qualcuno a cui tenere profondamente, più che a se stessa, non avrebbe tollerato che qualcuno le potesse dire se fosse giusto o sbagliato curarsene, se fosse giusto o sbagliato mollare gli ormeggi e seguire quello che il cuore le diceva.
Cosa c’era di così diverso, di così perverso e sbagliato nella possibilità che un morfo e un umano si amassero, in fondo? Quali erano le differenze sostanziali fra morfi e umani, pelliccia a parte? Lillian si guardò attorno durante il tragitto di ritorno, studiando morfi e umani allo stesso tempo; tutti prendevano gli autobus, tutti passavano nei negozi ad acquistare cibo, oggetti e vestiario, tutti avevano dei telefoni cellulari, tutti giravano con ombrelli, zaini e valigie, tutti respiravano, sedevano e andavano in bagno. Certo, i morfi appartenevano ad una specie completamente diversa, ma… non erano forse nati da altri esseri umani? I suoi genitori erano umani, in fondo, e non era ancora nato il figlio dell’unione di due morfi, o almeno nessuno ne aveva dato notizia. Si chiese allora perché dovesse sentirsi così inguaribilmente, irrimediabilmente diversa da Ivan, e non solo per il sesso.
Ma se il pensiero di Ivan l’elettrizzava e le dava speranza, era la conversazione con Corinne che le dava i principali problemi. Cosa c’era di vero in ciò che la licaone le aveva sputato addosso? Aveva ragione nel pensare che lei tenesse più alla possibilità di far concerti che non al gruppo di morfi?
Sulle prime, aveva automaticamente risposto che non era così: che il suo primo interesse erano le persone, che il gruppo-concerto era l’ultimo dei suoi problemi… ma le scocciava non aver provato, quel giorno, a causa del comportamento di Corinne, che non aveva mai comunque spiegato i motivi della notte passata a piangere o quali fossero i problemi che la affliggevano. Sperava di non dover rimandare al mese successivo la data del concerto.
Perché tutto questo? Cosa c’era nella possibilità di cantare che le premesse al punto tale da passar sopra al palese malessere di uno dei membri del gruppo?
Nello specchio del bagno, con indosso un asciugamano a coprirle il corpo dopo la doccia, vide se stessa. Ripensò allora alle serate di concerto, alle serate passate a cantare, alla sensazione di felicità che la possibilità di essere lì, di cantare, di mostrarsi le dava. Era così egocentrica? Il suo mondo stava iniziando davvero a ruotare attorno ai concerti perché le permettevano di apparire?
“Non è possibile farsi questi problemi a…” iniziò a dire a voce alta, ma si fermò appena si rese conto di ciò che stava dicendo. “Mi sto davvero preoccupando del concerto così tanto da metterlo al di sopra di una riflessione?” Inarcò un sopracciglio e rivolse uno sguardo perplesso al suo riflesso. “Così non va, Lillian.” 

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