lunedì, agosto 08, 2011

Capitolo 46 – Lillian si vuole presentare


“No, aspetta, tesoro, faccio io,” disse Lillian, posando una mano sul braccio di Ivan. Si alzò, impilò i piatti che i due avevano usato per la cena e li portò in cucina, lasciandoli accanto al lavello. Quindi tornò indietro al tavolo, raccolse le posate e i bicchieri e fece lo stesso, sempre col sorriso sulle labbra, mentre Ivan rimaneva a guardare.
Tornata a sedersi, Ivan le chiese perché avesse voluto farlo lei al suo posto. “Altre ragazze avrebbero preferito farsi servire, è un… insomma, è una gentilezza, no?”
Lei annuì. “Lo so, ma penso di essere capace di portare dei piatti in cucina, dopotutto. Ho vent’otto anni, ormai penso di essere abbastanza adulta per fare una cosa del genere.”
Ivan sorrise. “Non è questione di essere adulti o meno, Lilly,” disse.
“E’ cavalleria, gentilezza, e tutte queste cose del genere, lo so,” rispose lei, prendendo la sua mano. “Ma non mi interessano, Ivan, davvero. Almeno, non per queste cose, o non quando sono perfettamente tranquilla e riposata. O anche solo riposata,” aggiunse, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi.
“Sei stata molto silenziosa, stasera, in effetti, tesoro. C’è qualcosa che non va?”
“Sì, ecco… sai, sono un po’ preoccupata. Ho diversi… diverse cose che mi pesano un po’.”
Ivan le prese l’altra mano. “Hai voglia di parlarne un po’?”
“Non so se sia il caso…”
“Segreti? Cose che non puoi rivelare?”
“Più o meno…” Lillian si morse il labbro, indecisa sul da farsi. Quindi scosse la testa. “No, non c’è un reale segreto. E’ solo che non so da dove iniziare.”
“Se ne hai diverse, una qualsiasi andrà bene, come inizio.”
“Va bene. Da dove inizio, allora… C’è questo mio amico. Non lo conosci, non lo hai mai visto e non penso di avertene mai parlato molto…”
“E’ un morfo?”
“Sì,” rispose Lillian. “E’ un topo. Un ratto, per essere chiari. Non che faccia grandi differenze, ma… per amore di completezza. Lo conosco da diverso tempo, e… e lui è sempre stato un tipo riservato. Non schivo, solo riservato. Di quelli che parlano poco, di quelli di cui sai sempre troppo poco.”
“Sì, credo di capire. Conosco anche io persone così.”
“Ecco. E… suo padre sta male. E’ in una clinica. La Collins, quella sul…”
“Quella per morfi?” chiese Ivan, aggrottando la fronte. “Anche suo padre è un morfo?”
“No, no, suo padre è umano… Anche perché, sai, insomma, noi morfi siamo nati nell’83, come potrebbe esserlo anche suo padre?”
“Sì, scusa. Ma allora… perché è in una clinica per morfi?”
“Perché la Collins cura anche pazienti con problemi mentali.”
“Oh,” fece Ivan. “Che cos’ha?”
“Si chiama corea di Huntington. E’ una malattia degenerativa, e genetica. Rimane silenziosa per molti anni, almeno fino ai trenta-quaranta. Poi provoca una progressiva demenza. E non c’è cura.”
“Brutta merda.”
Lillian annuì. “Già.”
“Immagino che il ragazzo… come si chiama?”
“Jules. Non te l’avevo detto.”
“Jules sarà a pezzi.”
“Diciamo che si fa forza. Ha una famiglia piccola, solo loro tre, ma sono molto uniti. E poi ha i suoi amici, cioè noi. E…”
“E…?”
“E io ho pensato che avrei potuto fare qualcosa di più per lui,” prosegui la morfa. “Così ho visto che alla clinica cercavano volontari per il servizio infermieristico. E mi ci sono iscritta.”
Ivan sorrise. “Quindi ora sei infermiera?”
“Mi hanno accettato, sì. Non seguirò direttamente il padre di Jules, anche perché starò quasi solo al terzo piano, dove sono i morfi. Però avrò tempo di passare da lui, vederlo e magari… assicurarmi che ci sia qualcuno con lui che se ne prenda cura.”
“Hai un gran cuore, Lillian. Sono orgoglioso di te.”
“Non l’ho fatto perché sono una santa, Ivan.”
“Cosa vuoi dire?”
“L’ho fatto perché mi sentivo in colpa,” ammise. “E avevo bisogno di fare qualcosa che mi facesse pensare che non sono una persona orrenda.”
“Credo di essermi perso un punto, Lilly. Perché dovresti pensare di essere una persona orrenda?”
“Perché in quest’ultimo periodo… in quest’ultimo mese… non ho fatto altro che litigare con i membri del gruppo,” disse Lillian, gli occhi che si riempivano di lacrime. “Soprattutto con Corinne. Mi ha definito una “saputella del cazzo…” E ha…”
“Come si permett…”
“No, aspetta, amore, ha ragione,” l’interruppe Lillian. “Ha avuto perfettamente ragione. Non faccio altro che… che comportarmi come se ne sapessi sempre più di loro: fai così, mettiamo questo, non cantiamo quella, sbagli a fare quello… Non sto più collaborando, Ivan. Sto comandando. E loro lo sentono.”
“Be’… Perché non provi allora a… tornare sui tuoi passi?” chiese Ivan, dopo qualche secondo di esitazione. “Chiedi scusa, capiranno sicuramente.”
“Mi vergogno troppo.”
“Ma perché dovresti lasciar perdere l’opportunità del gruppo per una cosa del genere? Devi solo trovare un modo per rimettere a posto le cose, e tutto tornerà come prima,” disse il ragazzo. “Il gruppo è importante per te, tesoro, non puoi lasciartelo sfuggire…”
“E se avessi rovinato il rapporto con loro? E se…”
“Tutte le band di tanto in tanto hanno discussioni interne. Insomma, può capitare, no? Poi ci si chiarisce, alla fine.”
“Spero che tu abbia ragione,” commentò Lillian. “Io ho una paura fottuta di aver tirato troppo la corda, con loro. Non vorrei continuare questa esperienza sapendo che non c’è più un rapporto fra di noi. Non un rapporto amichevole. Pensavo, speravo di poter costruire dei legami seri fra di noi, e mi odierei se li avessi rotti in questo modo.”
Ivan le passò una mano sulla guancia, accarezzandola. Con un dito le asciugò una lacrima. “Non si sarà rotto nulla, tesoro, vedrai. Devi solo trovare il modo per ricucire tutto, e so che ce la farai.”
“Grazie.” Lillian sospirò. “Lo spero.”
“Vuoi passare agli altri argomenti?”
Lei annuì. “Sì. Ho… devo confessarti una cosa. Ma mi devi promettere che non ti arrabbierai.”
Lui si portò la sinistra al petto e alzò la destra. “Lo giuro.”
“Va bene. Non ho ancora detto a nessuno di noi,” fece la morfa, in un solo fiato.
“E quindi?” chiese il ragazzo.
“Pensavo che la cosa… ti desse fastidio. Pensavo che ti avrebbe fatto piacere sapere che… che qualcuno sapesse di noi.”
“Be’, sì, insomma, è vero, ma penso che tu abbia avuto dei motivi per noi dirlo in giro. O no?”
“Sì, ecco, sì… E’ che… Ho un po’ di paura, ecco. Cioè, l’ho detto solo ad una mia amica, ma non l’ho fatto con altri, perché… non so che reazioni possono avere. Ma è solo un… una paura stupida, vero?”
“No, amore, non è una paura stupida,” disse Ivan. “E’ abbastanza normale, dopotutto, quante coppie come la nostra vedi in giro? Le persone non possono ancora riuscire ad accettare la cosa facilmente.”
Lillian sentì un peso scivolarle via dal cuore, liquido. “Credevo che ti saresti arrabbiato, o che mi avresti detto che sono una sciocca. Grazie, tesoro.”
“Lo dirai agli altri come e quando vorrai, amore. Non c’è nessun problema per me.”
“E tu, invece? Lo sa già qualcuno?”
“Non ancora, almeno, non per quanto riguarda i miei amici,” fece Ivan. “Pensavo di fare una sorpresa uscendo insieme io e te, o qualcosa di simile. Volevo proportelo fra qualche giorno, in effetti.”
“E… ai tuoi? Io non ho ancora detto nulla ai miei, in effetti.”
“Io sì.”
“Ah,” fece la morfa. “E… come hanno reagito?”
“Benissimo. Mio padre era già felice del fatto che tu fossi la mia istitutrice, quindi era più che soddisfatto della cosa, e mia madre… be’, lei si riserva di conoscerti, prima di giudicare, ma si fida di quel che pensa papà.”
“Senti, Ivan… perché allora non facciamo…” Ridacchiò. “Una di quelle cose tipo “ti presento i miei,” una cena…o un pranzo… magari qui, ecco… con i nostri rispettivi genitori?”
“Lo avevo pensato anche io, ma non sarà facile, non nel breve tempo, almeno.”
“Perché?”
“I miei partono domani sera e staranno via un mese e mezzo.”
“Uau,” replicò Lillian. “Solo in casa per un mese e mezzo? Sopravviverai?”
Ivan rise. “Sì, tesoro. Sono perfettamente in grado di badare a me stesso, non credere.”
“E dove se ne vanno? Non ha l’aria di una vacanza…”
“Mia madre seguirà mio padre, andranno sul continente per questioni di lavoro, prima in Belgio poi in Germania. Cose economiche, sai, con la crisi e tutte queste faccende, e mio padre deve seguirle.”
“Allora possiamo... appena ritornano. E nel frattempo lo si può fare con i miei, che ne dici? Insomma, vorrei presentare a qualcuno la nostra stupenda coppia,” fece lei, sporgendosi sul tavolo verso di lui e afferrandogli il mento con una mano. E lo baciò. “Tu che dici?”

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