Lillian si gettò sul letto, sentendosi spenta. Una lampadina fulminata, per la precisione. Qualcosa le era “saltato” dentro, e faticava a comprendere cosa fosse accaduto.
Aveva ancora addosso il puzzo delle sigarette pestilenziali degli amici di Ivan, e sulla lingua ancora il pizzicorio di quella bevanda assurda che non poteva essere chiamata propriamente birra, men che meno birra scura. E le loro chiacchiere nelle orecchie, così piene di donne, di moto e di bizzarre questioni politiche che lei non era riuscita a seguire da risultare completamente vuote.
E i loro sguardi. I loro sguardi che erano corsi rapidamente, chi più, chi meno, sul suo corpo, sul suo muso, sui suoi occhi e occhiali, sulla sua pelliccia. Si era sentita letteralmente unta, dopo essere stata osservata in quel modo, come se qualcuno l’avesse accarezzata dopo aver intinto la mano nella vaselina. Era una sensazione più che semplicemente sgradevole: era disgustosa.
Ma c’era Ivan. C’erano i suoi sguardi, sempre così calmi, sempre così pieni e brillanti, diretti ai suoi occhi e a ciò che vi stava dietro; le sue parole, tutte per lei, mai fuori luogo, mai pesanti, sempre rivolte ad alleggerire la situazione…
“Mi dispiace,” le aveva detto, accompagnandola a casa al termine della serata.
“Di cosa?”
“Che… insomma, non mi è sembrato che tu ti sia divertita, ecco. E credo di capire il perché.”
“Perché, secondo te?”
“I discorsi dei miei amici,” aveva risposto lui. “Non erano il massimo, soprattutto per una ragazza, immagino.”
Oh, aveva solo grattato la superficie della cosa. Lillian avrebbe voluto chiedergli perché andasse in giro con gente simile, avrebbe voluto fargli capire come l’avevano fatta sentire… ma non c’era riuscita, un po’ perché non aveva voglia di parlarne, un po’ perché aveva paura di ferirlo, un po’ perché l’aveva realizzato fino in fondo solo in quel frangente, lì distesa sul suo letto, con ancora indosso la sua giacca grigia.
Per un attimo, solo per un attimo, durante la serata, si era domandata che impressione gli stesse facendo. Non aveva scelto gli abiti migliori, dopotutto avrebbe dovuto essere solo una serata fra amici…
Il telefono trillò, svegliandola.
“Claire,” rispose la morfa.
“Sei a casa? Finita la serata? Devi dirmi tutto.”
Lillian si tolse gli occhiali, si stropicciò gli occhi e si alzò a sedere. “Cosa vuoi sapere?”
“Come mai sei così fottutamente giù, tanto per incominciare,” le replicò l’altra, in tono meno allegro e sensibilmente più preoccupato.
Lillian si tolse gli occhiali, si stropicciò gli occhi e si alzò a sedere. “Cosa vuoi sapere?”
“Come mai sei così fottutamente giù, tanto per incominciare,” le replicò l’altra, in tono meno allegro e sensibilmente più preoccupato.
“Diciamo che… be’, non è stata una gran serata.”
“Ah, questo si era capito perfettamente, Lilly. Ma perché?”
“I… gli amici di Ivan, direi.”
“Gentaglia?”
“Uh-uh. O meglio, non so se siano gentaglia o cosa, ma non li ho trovati per nulla simpatici, amichevoli o altro, se devo essere sincera.”
“Cazzo. Mi dispiace. E pensare che ti aveva invitato lui.”
“Già. Dispiace anche a me. Mi chiedo come mai si… vada in giro con loro. Mi sono sembrati… negativi, ecco. Non persone con cui uscirei io, quantomeno.”
“Gentaglia?”
“Uh-uh. O meglio, non so se siano gentaglia o cosa, ma non li ho trovati per nulla simpatici, amichevoli o altro, se devo essere sincera.”
“Cazzo. Mi dispiace. E pensare che ti aveva invitato lui.”
“Già. Dispiace anche a me. Mi chiedo come mai si… vada in giro con loro. Mi sono sembrati… negativi, ecco. Non persone con cui uscirei io, quantomeno.”
“Perché tu sei abituata troppo bene, tesoro. Sei abituata a me!”
Lillian sorrise, benedendo il cielo per l’esistenza della sua amica. “Può darsi, può darsi.”
“Come ti senti?”
“Combattuta,” rispose lei. “Combattuta fra lui e loro.”
“Combattuta,” rispose lei. “Combattuta fra lui e loro.”
“Be’, io direi che loro sono a prescindere fuori dall’equazione, no?”
“No. Non è una cosa automatica, Claire: sono i suoi amici, lui sta bene con loro, quindi…”
“Che cazzo, Lilly, non è che in automatico puoi permettere alla gente di farti star male solo perché escono con quello che ti piace, no? Sono sicura che troverai un modo per risolvere la cosa tenendoli fuori dalla tua vita.”
“Vorrei avere la tua stessa certezza, Claire.”
“Fidati, sarà così. L’ho visto succedere troppe volte per non sapere come ci si comporti in questi casi.”
“No. Non è una cosa automatica, Claire: sono i suoi amici, lui sta bene con loro, quindi…”
“Che cazzo, Lilly, non è che in automatico puoi permettere alla gente di farti star male solo perché escono con quello che ti piace, no? Sono sicura che troverai un modo per risolvere la cosa tenendoli fuori dalla tua vita.”
“Vorrei avere la tua stessa certezza, Claire.”
“Fidati, sarà così. L’ho visto succedere troppe volte per non sapere come ci si comporti in questi casi.”
“Allora mi fido.” Sbadigliò. “Ora, Claire, scusami, ma ho necessariamente bisogno di una doccia. Mi sento… sporca come un… non lo so, mi sembra di aver passato la giornata ad asfaltar strade.”
“Allora doccia. Doccia e basta, doccia calda, una bella lavata e poi a letto. Ecco come si ricostruisce una morfa.”
“E artigli,” aggiunse Lillian, guardandosi le mani. “Li devo limare, stanno crescendo un po’ troppo.”
“Vedo che mi hai capito alla perfezione, donna.”
“Claire, spiegami una cosa.”
“Sono tutta tua.”
“Ma se tu non esistessi, io come farei?”
“Ma se tu non esistessi, io come farei?”
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