18 Marzo.
Mills l’aiutò a scendere dalla macchina: da sola, bendata non ce l’avrebbe mai fatta. Le prese la mano e la guidò fuori, quindi richiuse la portiera e la condusse su quello che Lillian pensava fosse il marciapiedi. “Dove diavolo mi hai portato,” gli chiese, ridacchiando, in parte imbarazzata e in parte eccitata per quella sorpresa. “Poi mi spiegherai perché la benda.”
“Infatti ora non serve più,” le disse il cane. “Te la tolgo, ma tu devi chiudere gli occhi. Promesso?”
“Giuro.”
“Giuro.”
“Va bene,” disse l’altro, quindi la fece voltare e le sciolse la benda dalla testa. Quindi le tolse gli occhiali e le pose le mani sugli occhi. “Non guardare… non guardare…” le fece, facendola voltare ancora. L’odore del luogo le era famigliare.
La testa iniziava a girarle. “Come faccio a vedere, Mills? Ho le tue unghie sugli occhi!”
“Ecco, ci siamo. Fermati,” la guidò il cane. “Ok. Pronta?”
“Pronta.”
“Pronta.”
“Al mio tre apro. Uno, due… tre!” fece il morfo, togliendo le sue mani dagli occhi della tasso, che si rimise prontamente gli occhiali.
Davanti a lei, appoggiata al muro esterno del suo condominio, stava una bicicletta, lucida, fuxia a righe rosse e oro, con un gran fiocco rosso e giallo attaccato sul manubrio. Lillian si portò le mani alla bocca, colta di sorpresa. “Buon compleanno, Lilly!” fece Mills.
“Oh, ma… Mills… ma devi avere speso…”
“Ah, niente, non uscirà una parola in merito. Fibra di carbonio, leggera come una piuma per poterla portare a mano senza stancarti, ruote spesse per fare presa sull’asfalto in tutti i casi, un bel cesto ampio per tenerci qualsiasi cosa e due bei faretti davanti e dietro, a dinamo,” descrisse lui. “Così puoi muoverti in città quando c’è bel tempo, senza più tempi di attesa della metro, senza più ritardi e ingorghi con i bus, niente problemi di parcheggio, fermate e biglietti, potrai fare il movimento che volevi fare da tempo…”
Lillian lo interruppe abbracciandolo con forza. “Sei un tesoro, Mills… grazie, sei… il migliore amico che avrei mai potuto volere…”
“Già…”
“Grazie, grazie, grazie!” esclamò, correndo verso la sua nuova bicicletta per osservarla da vicino. “Ma… come facevi a sapere che ne avevo bisogno?”
“Perché so che non ti piace il bike sharing.”
“Perché so che non ti piace il bike sharing.”
Lei inarcò un sopracciglio. “Davvero? Ma io non credo di avertelo mai detto.”
Mills strinse le spalle. “Devo avertelo sentito dire.”
Mills strinse le spalle. “Devo avertelo sentito dire.”
Lillian rivolse gli occhi al cielo. “Va bene, è un regalo e non voglio scendere nei dettagli.”
“A caval donato non si guarda in bocca, dopotutto.”
“Giusto. Mills, davvero, non so come ringraziarti. Ha tutto… è perfetta, davvero. E’ il regalo più bello che mi abbiano fatto… esclusi i miei genitori.”
Le orecchie del cane si abbassarono un po’, mentre sorrideva. Ma Lillian notò comunque che il sorriso non arrivava agli occhi. “Ah, non dire nulla. E’ il tuo compleanno, Lilly, era il minimo che… che potessi farti, no? Come amico, intendo.”
Il morfo le teneva qualcosa di nascosto: era chiaro come il sole, e mille indizi del suo corpo lo indicavano. Lillian lo conosceva troppo bene per capire quando Mills era naturale e quando stava mentendo. In quel momento stava mentendo. La tasso incrociò le braccia sul petto. “Mills, tu mi sei amico, vero?”
Lui allargò le braccia. “Ma certo.”
“E non mi nasconderesti mai nulla, vero?”
“Perché dovrei?”
“E non mi prenderesti mai in giro, vero?”
“Dove vuoi arrivare, Lillian?”
“Mi stai mentendo su qualcosa,” concluse. “Non me la racconti giusta, pelosone. Cosa c’è che non va? E’ una festa questa, perché sei così…”
“Nulla di che, Lillian, davvero,” le rispose lui. “Piccole preoccupazioni personali. Ma non mi va di parlarne ora, davvero, proprio perché è la tua festa.”
Lei lo fissò negli occhi per qualche attimo. Lui lo sostenne per tutto il tempo, in silenzio. “Mi fido di te, Mills. Ma se dovessi venire a sapere che c’è qualcosa di più grosso di queste “piccole preoccupazioni personali” che mi stai nascondendo, sappi che te la dovrai vedere con un osso duro.”
Il sorriso di Mills ora raggiunse gli occhi, dopo la risata. Lillian tirò un sospiro di sollievo. “Oh, ti conosco fin troppo bene, Lilly! So benissimo quanto sei testarda.”
“L’importante è che tu lo sappia. Devi avere paura di me, Mills,” disse. Quindi gli andò incontro, abbracciandolo. “Grazie di esistere.”
“Sei a casa, tesoro?” le chiese sua madre, al telefono.
“Sì, mamma. Mi sto preparando per uscire, stasera festeggeremo un po’,” disse la tasso, controllando che lo smalto viola sugli artigli avesse fatto presa.
“Vorrei essere lì con te e tirarti le orecchie!”
“No, mamma, per favore… me le staccheresti!”
“Non pensare che ci siamo dimenticati della festa della nostra bambina,” fece Annabel. “Non possiamo essere lì fisicamente, ma abbiamo comunque avuto un pensiero per te.”
“Cioè?”
“Cioè?”
“Arriverà da te nei prossimi giorni.”
“Oh, Dio, mamma… ecco, così ora rimarrò in ansia finché non arriverà,” replicò la morfa. “Lo sai come sono fatta. Sei crudele.”
“Ma io voglio che tu sia ansiosa, tesoro. Ti piacerà da morire, vedrai.”
“Sei crudele, Annabel Edgecombe. Papà è al lavoro?”
“Sei crudele, Annabel Edgecombe. Papà è al lavoro?”
“Sì, ma dovrebbe tornare fra pochi minuti. Vorrà sicuramente chiamarti: tu per qualche motivo dovrai stare lontana dal tuo cellulare?”
“No, assolutamente, mamma,” rispose Lillian. “Papà può chiamarmi in qualsiasi momento.” Aprì la bocca per continuare, ma si fermò: avrebbe voluto dirgli qualcosa riguardo Ivan, ma non si sentiva ancora abbastanza sicura per annunciare la cosa. Dopotutto, non era neanche “ufficiale:” si era trattato solo di un bacio e della dichiarazione dei sentimenti reciproci, c’erano stati pochi altri baci durante le lezioni e qualche chiacchiera tenera, ma null’altro. La morfa stava attendendo che fosse lui ad avanzare nella “relazione,” troppo timida per fare passi avanti, troppo spaventata dalla possibilità di commettere un errore in quella fragile, bellissima tela di ragno che non voleva in alcun modo rovinare.
Dopo la lezione, Lillian soffiò sulle candeline della minuscola torta che Ivan le aveva comperato. “Scusami, oggi non ho avuto fisicamente tempo per prepararne una io,” le disse.
“Non fa niente, Ivan, davvero,” replicò lei, abbracciandolo e baciandolo sulla guancia.
“Buon compleanno, amore,” fece Ivan, quindi aprì un cassetto della sua scrivania per estrarre un pacco squadrato, morbido e piatto. “Anche se in ritardo di un giorno.”
“Non dovevi!”
“Ma dai, nel giorno del tuo compleanno pretendevi che non ti facessi un regalo?” le disse, tornando a sedersi accanto a lei sul letto. “Aprilo, dai.”
“Ma dai, nel giorno del tuo compleanno pretendevi che non ti facessi un regalo?” le disse, tornando a sedersi accanto a lei sul letto. “Aprilo, dai.”
Lillian scartò con attenzione la busta argentata, intuendo che fosse un indumento di qualche tipo. Ne tirò fuori un abito lungo, in tutto e per tutto simile a quello che indossava durante i concerti, ma color porpora, molto scuro e lucido, in un tessuto che non seppe identificare al tatto. Forse seta. Rimase senza fiato. “Ma… Ivan, io…”
“L’abito che hai durante i concerti ti sta benissimo,” le disse. “Così ho pensato che avrebbero potuto piacerti altri del genere. La taglia dovrebbe essere corretta, mi sono un po’ basato su quello che mi ricordavo di te durante le vostre esibizioni, ma puoi sempre cambiarlo se non…”
“Lo proverò a casa,” disse. “E poi ti farò sapere. Grazie, grazie. E’ uno dei regali più belli che mi abbiano fatto quest’anno.”
“Lo proverò a casa,” disse. “E poi ti farò sapere. Grazie, grazie. E’ uno dei regali più belli che mi abbiano fatto quest’anno.”
“La bici con cui sei arrivata è un regalo dei tuoi?”
“No,” fece lei. “Di Mills. Il batterista. E’ un ragazzo molto caro. Vi piacereste,” disse.
“A me interessi tu,” replicò Ivan, prima di baciarla.
Si sdraiarono insieme sul letto, coricati entrambi sul fianco.
“Da quanto tempo porti quegli occhiali?” le chiese il ragazzo. “E’ da un po’ che ci penso, ma non te l’ho mai chiesto.”
“Secondo me staresti meglio, senza occhiali,” le fece Ivan. “Hai degli occhi stupendi, ma la gente si ferma a guardare i tuoi grandi occhiali, Lilly.”
“Li ho sempre portati, da che mi ricordo,” disse la morfa, togliendosi gli occhiali e osservandoli da vicino. “Me li ha comperati mio padre. Sono fatti su misura, sai? Sono sempre stata molto, molto miope. Da cucciola, non riuscivo a vedere bene già oltre il muso, ci credi? E ora… non è migliorata, come cosa, ma sono migliorati i miei occhiali. Mio padre li ha modellati su quelli di Janis Joplin.”
“Be’, direi che le assomigli molto, è vero.”
“Muso a parte, vorrai dire.”
“No, dico sul serio,” disse Ivan. “Hai molto della Joplin, è vero.”
“Sai che potrebbe essere uno dei complimenti più grandi che abbia mai ricevuto?”
“Per così poco?”
“Non sottovalutare quanto valgano per le persone i modelli che ammirano,” ribatté Lillian. “Lei… be’, musicalmente ha lasciato una bella zampata, diciamo. Se riuscissi a fare lo stesso potrei morire felice, lo ammetto.”
“Non sottovalutare quanto valgano per le persone i modelli che ammirano,” ribatté Lillian. “Lei… be’, musicalmente ha lasciato una bella zampata, diciamo. Se riuscissi a fare lo stesso potrei morire felice, lo ammetto.”
“Puoi farlo,” le disse lui. “Hai una voce meravigliosa, dopotutto, un grande orecchio musicale…”
“Non so, Ivan. Ma forse non voglio neanche pensarci.”
“Perché? Che c’è di sbagliato nello sperare di usare al meglio le proprie capacità?”
“Non so, Ivan. Ma forse non voglio neanche pensarci.”
“Perché? Che c’è di sbagliato nello sperare di usare al meglio le proprie capacità?”
“Nulla, ma… non penso di poter arrivare a quei livelli, in effetti. Non sono così speciale come mi vedi tu. E poi sono una morfa…”
“E allora? Guardati attorno, guarda… guarda chi c’è nelle classifiche attuali. Una banda di sciacquette e di bambinetti dalla sessualità confusa che non sono neanche in grado di scrivere un testo con una rima baciata. Tu invece cos’hai? Hai una voce che ricorda quella delle grandi interpreti del rock, fra Patti Smith e Janis Joplin, hai la capacità di rileggere e rivedere la musica con una tua sensibilità, sei… insomma, andiamo, Lilly, hai tutte le carte in regola per brillare molto più di quella gente.”
“E allora? Guardati attorno, guarda… guarda chi c’è nelle classifiche attuali. Una banda di sciacquette e di bambinetti dalla sessualità confusa che non sono neanche in grado di scrivere un testo con una rima baciata. Tu invece cos’hai? Hai una voce che ricorda quella delle grandi interpreti del rock, fra Patti Smith e Janis Joplin, hai la capacità di rileggere e rivedere la musica con una tua sensibilità, sei… insomma, andiamo, Lilly, hai tutte le carte in regola per brillare molto più di quella gente.”
Lillian si grattò il muso. “Tu… tu dici?”
“Dico, sì. E penso che i London Morph Sextet potrebbero anche andarti stretti, dopotutto. Potresti avere di più.”
“No, Ivan,” ribatté la morfa. “Il progetto dei LMS è quello che voglio. Siamo un gruppo perfetto, siamo… non siamo ancora al top delle nostre possibilità, certo, ma possiamo arrivarci col tempo. Ci hanno intervistato, ogni nostro concerto al pub fa il pienone, e ci guadagnamo…”
“Vedi qual è il punto, Lilly? Ogni vostro concerto al pub,” sottolineò il ragazzo. “Vuoi cantare per sempre in un pub? O in un altro posto del genere? Saresti sprecata. Meriti un palco, Lillian, da sola o con un gruppo. Dammi retta.”
“Dico, sì. E penso che i London Morph Sextet potrebbero anche andarti stretti, dopotutto. Potresti avere di più.”
“No, Ivan,” ribatté la morfa. “Il progetto dei LMS è quello che voglio. Siamo un gruppo perfetto, siamo… non siamo ancora al top delle nostre possibilità, certo, ma possiamo arrivarci col tempo. Ci hanno intervistato, ogni nostro concerto al pub fa il pienone, e ci guadagnamo…”
“Vedi qual è il punto, Lilly? Ogni vostro concerto al pub,” sottolineò il ragazzo. “Vuoi cantare per sempre in un pub? O in un altro posto del genere? Saresti sprecata. Meriti un palco, Lillian, da sola o con un gruppo. Dammi retta.”
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