mercoledì, agosto 17, 2011

Capitolo 56 – Lillian torna indietro


7 Agosto, mattina.
Lillian accese la televisione, i suoi genitori ancora una volta fuori al lavoro. Sola in casa, in compagnia di un caffè freddo.
La BBC berciava di rivolte a Londra. Lillian mise sul tavolo la tazza di caffè, le orecchie pronte a recepire qualsiasi informazione.
Rivolta partita a Tottenham, in seguito all’uccisione da parte di alcuni poliziotti di un giovane di colore.
Tottenham. A due passi da casa di Mills.
Mills, che era venuto di persona a cercarla per convincerla a tornare indietro.
Mills, che le aveva confessato di amarla.
Mills, che ora era da qualche parte in mezzo ad una rivolta, in un quartiere a ferro e fuoco.
Lillian spense la televisione. Corse in camera sua, afferrò uno zaino, lo riempì di maglie, mutande e tutto ciò che le capitava a tiro. Tornò in cucina, scrisse su un foglio di carta “DEVO SCAPPARE VI SPIEGO TUTTO VI VOGLIO BENE” e uscì di casa, chiudendo dietro di sé la porta a chiave. Dal telefono chiamò un taxi e si fece condurre in stazione.
Da lì prese il primo treno per il distretto di Camden.

Arrivò in serata, dopo due cambi di treno, senza mangiare né fermarsi un solo istante per pisciare. Dopo giorni di inattività, paura e solitudine, la consapevolezza di star correndo verso Mills le dava una forza che non avrebbe mai immaginato.
Corse verso il suo appartamento. Le sirene della polizia per il quartiere segnalavano che qualcosa non andava, ma lei se ne infischiò. Per ora, contava solo la sua bicicletta.
La morfa coprì la distanza che la separava dal cane in un’ora. Sentiva il telefono vibrare a più non posso nella tasca dei suoi pantaloni, così come aveva vibrato per ore in treno, ma era un’entità che non voleva considerare. Aveva bisogno di vedere Mills, di sapere che era al sicuro, lui più di chiunque altro.
“Mills!” urlò, quando seppe di trovarsi a breve distanza dal suo appartamento. C’erano vetrine sfondate, cassonetti bruciati, macchine distrutte. Del fumo si levava in distanza, e la polizia era onnipresente. “Mills!”
Si gettò letteralmente dalla bicicletta appena arrivata di fronte alla porta dell’appartamento del cane. Non si curò di chiuderla: in quella situazione, qualsiasi metodo sarebbe risultato completamente inutile. E poi, della bici non le importava più nulla.
“Mills!” chiamò, ancora. Pigiò per diverso tempo il pulsante del citofono, battendo sulla porta con l’altra mano. “Mills, sono io!”
Quando la porta si aprì, Lillian si gettò immediatamente sul cane. Lui la prese, la fece entrare e chiuse subito, girando più volte la chiave nella serratura. “Lillian! Ma…”
“Non sono impazzita…”
“Là fuori è il delirio!”
“Lo so, ma non importa, Mills. Non importa. Avevo bisogno di sapere… come stavi. Dovevo sapere se… se eri al sicuro.”
Il cane sorrise. “Sì, Lilly. Grazie. Lo sono.”
“E… d’accordo, Mills. Devo parlarti. E’ importante, davvero. Ti spiego tutto, ma mi devi promettere che mi farai… finire il discorso.”
“Sì, promesso. Ma vieni di là, credo che tu abbia bisogno di un bicchiere d’acqua.”
Il cane l’accompagnò nella piccola cucina, la fece sedere al tavolo e le versò un bicchiere d’acqua. La morfa lo bevve d’un sorso, attese che l’altro si sedette e incominciò.
“Sono stata una stronza l’altro giorno, per mille motivi diversi. Sono stata una stronza cieca negli ultimi mesi, anche nell’ultimo anno. Io… mi ci hai fatto riflettere tu, quando sei venuto a trovarmi. A prendermi. E mi hai detto… be’, quello che mi hai detto.” Mills drizzò le orecchie. “Che mi ami. Me lo hai detto. Ho realizzato tutto in treno oggi, mentre venivo qui. Che idiota che sono stata. Mills, io non so se… se ti amo, ma so che ho bisogno di te. Non sei l’uomo perfetto, ma sei una persona buona, sei l’unica persona che conosca che abbia cercato di venire fisicamente da me pur di farmi cambiare idea. Non hai idea di quante telefonate abbia ricevuto in questi giorni, ma tu sei l’unico ad esserti mosso fisicamente. E non sai quanto mi abbia riempito di gioia vederti, anche se non te l’ho mostrato. E solo oggi mi sono resa conto di quanto mi avesse fatto sentire felice sapere quello che provi per me.
“Forse sbaglio a… ad accettare e a volere tutto questo dopo quel che Ivan mi ha fatto, ma è stato proprio il rapporto sbagliato con lui a farmi capire una cosa fondamentale. Ivan per me era una scusa. Non avevo bisogno di lui, non avevo bisogno di uno che non mi ha mai detto di sua spontanea volontà di amarmi. Avevo bisogno di qualcuno che mi facesse sentire meno morfa, più simile ad un essere umano. Più normale. Non mi sono resa conto di quanto lui facesse per cambiarmi: gli occhiali, il vestito per il concerto, il mio modo di rapportarmi con gli altri, tutto quanto. Era tutta una presa in giro da parte sua, e io sono stata una… stupida bambina viziata a crederci con tutte le mie forze. No, lo so che vuoi giustificarmi, ma credimi se ti dico che non ho giustificazioni: sono stata un’idiota e basta.
“Anche perché quello di cui avevo veramente bisogno ce l’ho sempre avuto davanti,” disse, prendendolo per mano. “Avevo bisogno di te. E ti ho sbattuto la porta in faccia perché avevo paura. Che tu mi potessi fare del male, che anche tu scappassi, che anche tu cercassi di non farmi essere ciò che sono, ma poi… poi ho capito che tu non lo avresti mai fatto. Anzi.
“Scusami, Mills. Ti prego, perdonami,” disse, lasciando che una lacrima le scendesse lungo il volto, mentre un grande sorriso le illuminava gli occhi acquosi. “E’ te che voglio. Ora lo vedo. Ti amo anche io, pelosone,” disse, e tirò su col naso.
“Vieni qui,” replicò lui, afferrandola e abbracciandola. Lei si fece avvolgere da lui, finalmente sentendosi libera, sentendosi in pace con se stessa. Per un momento le parve di essere ancora a casa dei suoi: fra le braccia di Mills non sentiva alcun problema. Era come se lui fosse in grado di tenere lontani da lei tutti i problemi.

“Signorina, lei di dov’è?” le chiese l’intervistatore. Mills era dietro di lei, le mani sulle spalle.
“Camden Town.”
“Cosa pensa di tutta questa situazione?”
“Che è una cosa orrenda,” rispose Lillian. “Orrenda e inutile. Come morfa mi sento a disagio nel sapere che in quella stupida guerriglia siano stati coinvolti anche dei morfi, nei giorni scorsi,” disse. “Doveva essere una dimostrazione pacifica, è diventata l’occasione per sfogare gli istinti più bassi di alcuni criminali che non hanno nulla a che vedere con la popolazione di Tottenham, di Londra e del resto dell’Inghilterra.”
“Cosa dovrebbe fare secondo lei Gordon Brown?”
“Non glielo so dire,” replicò. “Non sono un politico. Quello che è certo è che sarà sicuramente necessario far capire a tutti, polizia che esagera e criminali che approfittano del disagio reale degli altri, che così non possiamo continuare.”
“Io vivo a Tottenham,” disse Mills. “Non è un quartiere ricco. Ci sono miriadi di situazioni disagiate, di problemi, di persone che hanno bisogno d’aiuto e invece sono state relegate in un vero e proprio ghetto. Fra di essi, purtroppo, sono presenti anche un mucchio di pazzi come quelli che hanno devastato la città. Nessuno ha mai fatto nulla di concreto, né per aiutare chi aveva bisogno sul serio né per impedire che dei criminali come quelli che girano per le strade del quartiere tutti i giorni potessero esplodere come è successo, e ora stiamo raccogliendo i cocci. E chi ne paga sono le persone oneste, ovviamente, chi aveva un lavoro e si è visto distruggere un negozio da una banda di ladri. Non c’è integrazione, non c’è mai stata, né fra umani né con i morfi. Mi chiedo dove fossero i governi, in questi anni.” 

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