venerdì, dicembre 24, 2010

Capitolo 10 – Lillian suona il Natale

“Cosa stai pasticciando là sotto?” disse Lillian, aprendo la porta della camera di Ivan. Aveva visto il ragazzo cercare di infilare sotto il letto un oggetto piuttosto voluminoso.
“Ho… fatto un cambio di lenzuola, le sto mettendo sotto il letto.”
“Hai bisogno di una mano?” disse la morfa, posando a terra il suo zaino.
“No, grazie, ce l’ho fatta,” disse Ivan. Guardò l’orologio. “Sei in anticipo, direi.”
“Sì, lo so. Oggi la metro è stata più puntuale del previsto, e io ho camminato di buona lena. Devo pur far moto, o diventerò una botte e verrò qui rotolando.”
Ivan sorrise. “Andiamo, non essere esagerata. Non sei una botte.”
“No, ma ho la forza di volontà di una mattonella quando si tratta di cibo. Se non la contrasto con del movimento, lo diventerò ben presto,” disse la tasso, prendendo un CD dal suo zaino. “Anche perché, come saprai, siamo a Dicembre.”
“E quindi?”
“E quindi, cosa si festeggia a Dicembre?”
“Be’…” disse Ivan, scrollando le spalle. “Il Natale, direi. O c’è dell’altro?”
“No, il Natale. E a Natale si mangia molto… e si ascoltano le canzoni di Natale.”
“Suoneremo qualche strenna?” chiese Ivan, andando al pianoforte mentre la tasso inseriva il CD nello stereo.
“No. Faremo di meglio.” Una versione di Let it Snow iniziò a suonare, mentre Lillian raggiungevaIvan al pianoforte. “Ci ascolteremo e suoneremo canzoni natalizie pop. Niente O Tannenbaum, Silent Night e altre nenie, ma… Santa Baby, Let It Snow e tante altre. Forza, forza, forza!” lo incalzò, battendo le mani. Insieme passarono due ore provando e riprovando, lottando contro tasti e accordi che non andavano o che Ivan non riusciva a riprodurre.
“Ok,” disse Lillian, alla fine della lezione. “Sei andato bene, ma sei al di sotto del tuo livello medio, Ivan.”
“Quindi il mio livello è alto?”
“Oh, sì, ci puoi scommettere,” confermò Lillian. “Ne sei sorpreso?”
“Be’, ammetto di sì. Non mi aspettavo di valere così tanto, dopotutto.”
“Io ne sarei felice, al tuo posto. Ma su queste cose, su queste musiche e su questi accordi devi allenarti di più. Fra due giorni, alla prossima lezione, voglio vederti fare progressi. Sai cosa significa?”
“Esercizio, esercizio, esercizio,” fece Ivan, chiudendo il pianoforte. “Ma domani ho l’esame di ammissione all’accademia della Marina Reale.”
“Davvero? Non me ne avevi mai parlato.”
“Sì, è domani sera.”
“Sei agitato?”
“Sì, molto,” confessò il ragazzo. “E’ da un po’ che… cerco di farne parte, sai. Per me sarebbe un grosso passo avanti.”
“I tuoi che ne pensano?”
“Non gli piace l’idea,” disse Ivan. “Preferirebbero che studiassi. Possibilmente qualcosa nel ramo economico, ma alla fine gli andrebbe bene un po’ tutto, basta che si tratti di università.”
“E tu come mai vuoi far parte della Marina?”
“Perché mi è sempre piaciuto stare sul mare e perché… abbiamo fatto un test a scuola per la valutazione delle nostre tendenze, ed è emerso che sono portato per la vita militare.”
Lillian ridacchiò. “Ordine e disciplina? Non si direbbe!”
Anche Ivan rise. “Sì, lo so, ma forse loro riuscirebbero ad inculcarmelo. Ne avrei bisogno,” disse, accennando con la testa alla sua stanza: il letto sfatto, i libri in terra, il computer acceso. “E poi, ammetto che poter arrivare a fare carriera su una nave deve essere… be’, fico. Comandante Matheson! Sì, signore!”
“Non sarà una vita rose e fiori, però.”
“Lo so, ma lo è stata fino ad ora per me. Cambiare aria non mi dispiacerebbe. Almeno provarci, ecco. Ho quest’occasione, non mi dispiacerebbe coglierla.”
La tasso gli posò una mano sulla spalla. “Fai bene, Ivan. Ti auguro di farcela, allora, ti meriti di avere quello che vuoi dalla vita. Ma la tua ragazza che dice?”
“La mia…?”
“La tua fidanzata.”
“Non c’è una signorina Matheson per ora, Lilly,” disse Ivan, ridendo. “Non sono un tipo portato per le relazioni, sai. Non per quelle fisse. Ci ho provato, al liceo avevo diverse… ho avuto diverse ragazze, ma non sono mai riuscito a far durare nulla. Sono una persona scostante da quel punto di vista.”
“Scusa, non volevo…”
“No, dai, non è un problema. Non mi sono offeso, come avrei potuto? Ma tu mi tieni ancora un segreto.”
“Un segreto?”
“Sì,” fece Ivan. “Io un giorno ti ho dato un’idea, mi hai detto. E l’hai sviluppata, ma non mi hai ancora detto nulla.”
“Non so se dirtela… vorrei fosse una sorpresa…”
“Dai…”
Lillian indugiò alcuni istanti, fissando il pavimento, quindi sorrise e si rivolse verso il ragazzo. “Ho messo insieme un gruppo.”
“Davvero? Ma è… fantastico! Fico! Che gruppo?”
“Ci chiameremo i London Morph Quintet. Siamo cinque morfi.”
“E immagino che tu canterai.”
“Non solo io,” si affrettò a correggerlo Lillian. “C’è anche un’altra ragazza, ha una voce davvero bella…”
“Immagino che sarà la solita voce femminile chiara, argentina…”
Lillian rimase interdetta, e per qualche attimo non rispose. “Sì.”
“Le solite cose. Sai, con la tua voce non credo che ci sarà neanche bisogno di farla cantare.”
“Ma perché non accettate per una buona volta il fatto che io non ho una bella voce? Ho al massimo una voce particolare, ma…”
“Perché non è vero, Lilly!” protestò il ragazzo. “Sì, hai una voce molto particolare, ma è… fenomenale anche per quello! E’ una voce nuova, sul serio. E, credimi, farete il fuoco sul palco, quando suonerete. A proposito, quando succederà?”
“Non lo so ancora,” disse Lillian. “Dobbiamo ancora decidere, dobbiamo provare di più prima di esibirci. Ma abbiamo già un palco: il Campfire Tales.”
“Andrà benissimo, vedrai. Tu canterai, no?”
“A quanto pare, sì. Dovrò cantare in quasi tutti i brani.”
“Cosa canterete?”
“Suoneremo delle cover,” disse Lillian. “Abbiamo già stilato una lista di brani e fatto la prima serata di prove.”
“Sembra una gran bella iniziativa,” commentò Ivan. “Ma sarete tutti morfi?”
“Sì. Sarà il primo gruppo del genere a Londra.”
Ivan sorrise. “Be’, in bocca al lupo, allora!”
“Quando avrai l’esame, domani?”
“Mattinata.”
“E sai già quando finirai? E l’esito?”
“Me lo diranno subito, penso. Non lo so, effettivamente. Però non credo durerà troppo.”

Per le strade di Londra, affollate di turisti e altre creature affamate di shopping e vita sociale troppo animata, Lillian si aggirava sfoggiando una lunga giacca bianca, molto imbottita, recente acquisto di cui andava molto orgogliosa. L’ultimo termometro visto misurava quattro gradi sotto lo zero, e la morfa li percepiva benissimo.
E Trafalgar Square, con il suo albero decorato e illuminato, era uno spettacolo che Lillian non voleva assolutamente perdersi. Da quando si era trasferita in pianta stabile in città, non vedeva l’ora di poterlo ammirare e godersi il clima natalizio nella zona.
Si sedette lungo il bordo della fontana, rilassandosi dopo la giornata, costringendosi ad ammettere a se stessa di non avere assolutamente voglia di recarsi, il giorno dopo, a lezione di musica dai Gallow. Non sopportava il modo in cui la madre della ragazza la trattava, la faceva sentire così tremendamente inutile, di troppo… La tasso avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di saltare questa lezione, ma non se la sentiva di rinunciare al suo unico lavoro, l’unica cosa che le permetteva di essere e sentirsi un po’ più indipendente del solito, meno ragazzina sperduta e più adulta.
Il telefono trillò, interrompendo il treno dei suoi pensieri.

Francine: Ciao bella, dove sei? Io sto andando a St. Martin-in-the-Fields per i canti natalizi, a vedere mio cugino nel coro. Ti va di venire?
Lillian: Ciao Fran! Sono già a Trafalgar, ti aspetto davanti alla chiesa!

Francine arrivò in una nuvola di profumo. Indossava un impermeabile lungo fino alle caviglie, una gran sciarpa bianca e un berretto di lana dello stesso colore. “Ciao, Lilly,” la salutò, emettendo volute di condensa.
“Eccoci qui. Meglio entrare, che ne dici?”
“Mozione accolta. Sarò pure un orso, ma fa freddo anche per me.”
Entrando, Francine si tolse il berretto, lasciando cadere la sua massa di capelli biondastri. Lillian si limitò a rabbrividire, incerta se segnarsi o meno: dopotutto, non stavano andando ad una funzione, ma solo a sentire dei canti natalizi.
Si sedettero sulle panchine più vicine all’ingresso, così da poter chiacchierare sottovoce senza disturbare nessuno ma potendo comunque godersi i canti. Il coro aveva già iniziato a cantare, con il direttore a guidare, e per un attimo a Lillian parve di trovarsi, molto più giovane, nei cori diretti da suo padre, ad Edinburgo, con gli sguardi della gente addosso durante i rari momenti in cui poteva cantare in solitaria. Fu contenta di vedere, qua e là lungo tutto l’arco formato dai coristi accanto all’altare, numerosi morfi di vario tipo: nell’orchestra di suo padre ce n’erano sempre stati troppo pochi per i suoi gusti.
“C’è tuo cugino?” chiese Lillian.
“Sì,” disse l’altra, indicando con un cenno della testa un ragazzo moro all’estremità destra del coro. “Guarda, è lui.”
“Canta bene?”
L’orsa rise. “Io ho sempre pensato che fosse stonato come una campana da morto, ma lui è così testardo… ha sempre voluto cantare e ha sempre insistito per voler imparare. Così i suoi lo hanno infilato in ogni coro, gruppo, musical possibile immaginabile, ma se nessuno gli insegna nulla non imparerà mai.”
“Vuoi dire che è lì senza saper minimamente cantare?”
“Assolutamente,” confermò Francine. “Non ha alcuna capacità. E insiste con il dire che invece saprebbe fare qualsiasi cosa, dal punto di vista canoro. E’ incredibile come i suoi assecondino ogni sua stranezza e ogni sua… bah. Non so come dire, non so come facciano. E’ un po’ ridicolo, secondo me, visto anche che la gente con vero talento, come te e Mills, fa sempre fatica per avere i posti giusti e le occasioni giuste.”
“E’ solo più fortunato.” Lillian sorrise. “Be’, se i genitori sono d’accordo, potrei insegnargli io…”
“Gliel’ho proposto anche io appena mi hai raccontato di avere iniziato ad insegnare,” fece Francine. “Ma non hanno voluto sentire ragioni. Gente strana. Ma non ti ho detto una cosa bellissima.”
“Cosa?”
“Ho trovato lavoro,” disse l’orsa, orgogliosa.
“Davvero? Sono felice per te! Dove?”
“Da Borders, come commessa. Non è male: lavoro a tempo pieno, quasi tutta la settimana, paga decente… finalmente potrò vivere per conto mio senza dipendere dai miei. Non sai quanto ti ho invidiato, Lilly…”
“Il momento viene per tutti, prima o poi, Fran.”
“Lo so, ma io non so mai aspettare. Fare la modella nell’istituto d’arte è divertente, ma non rende quanto un lavoro vero. Purtroppo, così ora non lo potrò più portare avanti, ma pazienza. Almeno ho un modo per far finta di mettere a frutto la mia laurea in lettere…” commentò la morfa.
“Non è una laurea facile da far fruttare, oggi come oggi.”
“Non dirlo a me, guarda.”
“Dove passerai questo fine anno?” chiese Lillian, dopo qualche attimo di silenzio da parte loro, applaudendo ad una delle canzoni appena eseguite. Non riusciva a ricordarsi i titoli, ma riusciva a ripassare mentalmente le melodie quasi alla perfezione, avendo eseguito quei canti per molti Natali, in passato.
“Non lo so ancora. Forse organizzeremo qualcosa qui con gli altri: Mills, Claire, forse Jules… non sappiamo bene, però. Tu ci saresti?”
“Se non organizza Claire, credo proprio di sì.”
“Non essere cattiva nei suoi confronti.”
Lillian ridacchiò. “Non sono cattiva, è che Claire ha dei gusti diametralmente opposti ai miei, Fran. Tu sei più simile a me, sul piano delle feste, e così Mills, ma lei… be’, diciamo che un rave non è il modo migliore per me di passare un Capodanno, ecco,” disse.
“Lo so che non è stato meraviglioso, ma io non ero mai stata ad un rave,” replicò l’altra. “Vedila in modo positivo.”
“Sì, certo. Ora ho imparato che non ci tornerò più, ecco.”
“Dove passerai il Natale?”
“Penso dai miei. Mi hanno chiesto se voglio unirmi a loro, e non mi va di passare questo periodo da sola in città, se devo essere sincera. Preferisco andare con loro, anche se questo significa passare il tempo a casa di mio nonno Theobald.”
“Il padre di tuo padre?”
“Sì, lui. Quel vecchio cialtrone.”
“Come fanno i tuoi ancora ad andare da lui, sapendo che lui odia i morfi? Non aveva persino supportato il partito fascista, nel periodo della Guerra?”
“Sì, lo ha fatto e ne va ancora fiero, ma mio padre… be’, ha pietà per lui e non sopporta che passi il tempo di Natale da solo. Lo so che non lo fa con cattiveria, è solo troppo buono. Ma quest’anno non credo che accetterò le sue solite frecciate,” fece Lillian.
“Brava, Lilly. Credo che tu faccia bene.”

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