sabato, gennaio 08, 2011

Capitolo 13 – Lillian fa del moto

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LillianEdgecombe: Buongiorno a tutti. Fa freddo, e parecchio, oggi. Sono le sei di mattina: come mai sono già sveglia? Perché ho deciso di iniziare a fare un po’ di moto, quindi stamattina mi prendo due ore per passeggiare e godermi Londra di Domenica. Ci vediamo!

L’aria gelata che respirava le faceva dolere tutte le mucose. Era ancora buio, il sole stava timidamente iniziando a fare capolino e la strada era completamente deserta. Lillian indossava una vecchia tuta da ginnastica ormai scolorita, scarpe da tennis, guanti e cappello per non patire troppo il freddo. Infilò le cuffie nelle orecchie e iniziò a camminare per le strade di Londra, di buona lena ma senza correre.
Già da qualche giorno, Lillian aveva avuto l’idea di tentare una dieta, o quantomeno di mettersi a regime in qualche modo. Cominciava a sentirsi fiacca e stanca di quei quasi venti chili di troppo, e in un modo o nell’altro, ma con calma e senza esagerazioni, li avrebbe eliminati uno per uno. Certo, con le vacanze natalizie alle porte avrebbe potuto avere qualche difficoltà, ma l’avrebbe presa come un bell’esercizio anche per la sua forza di volontà.
Odiava correre, con tutte le sue forze. Si sentiva lenta, goffa e pesante quando ci provava, e non solo per il sovrappeso. In passato si era più volte costretta a correre, fare jogging, persino esercizi di aerobica nelle più vicine palestre, ma aveva sempre desistito subito proprio per la sua scarsa propensione alla corsa. Così aveva optato per una partenza morbida: una camminata decisa, prolungata e senza fermate, o quantomeno fino a quando le gambe le avrebbero retto.
In quella Domenica mattina, la città era ancora quasi del tutto addormentata. Qua e là, lungo le strade, si vedevano gli ultimi gruppi di sfaccendati, di ragazzi a zonzo dopo una serata allegra, ma nessuno o quasi sembrava badarle. La cosa non poteva che farle piacere, dopotutto: non riusciva a non sentirsi in qualche modo fuori posto, un po’ perché non era un essere umano e un po’ perché aveva l’impressione di sembrare la solita ragazza sovrappeso che cerca in tutti i modi di dimagrire.
Si costrinse a fermarsi dopo circa un’ora di cammino, per far riposare le gambe indolenzite. Aveva raggiunto Hyde Park, ed erano le sette e mezzo. C’erano già gruppi di corridori della Domenica, pronti per iniziare la loro giornata podistica, la cui presenza la faceva sentire ancor più fuori posto. Ma si sentiva appagata: nonostante il dolore, avvertiva chiaramente la sensazione di aver rotto delle catene, di essersi lasciata indietro dei pesi. Era stanca, indolenzita ma contenta. A casa si sarebbe sicuramente premiata con una bella doccia calda.
Mentre era impegnata a fare un po’ di stretching, sentì qualcuno chiamarla, al di sotto della voce di Freddy Mercury che urlava il suo “magnifico” in BohemianRhapsody. Si tolse le cuffie, si voltò e vide Milla salutarla, in piedi a qualche metro di distanza. Come lei, indossava una tuta da ginnastica rosa confetto, ma era scalza e portava sulla fronte una ampia fascia di spugna bianca che le teneva i capelli lontani dagli occhi. Sembrava più stanca di lei.
“Ehi!” le fece. “Come mai qui?”
“Ho l’impressione… che siamo qui per lo… stesso motivo.”
Lillian rise. “Già. Be’, io sono in piena passeggiata.”
“Io ho… appena finito la corsa di questa mattina,” le rispose Milla. “Devo pur… fare del moto, o fra… qualche anno occuperò due sedie mentre suono.” La scoiattolo sbuffò. “Il violoncello mi piace tanto,” disse, mettendo le mani sui fianchi. “Ma devi stare seduto tutto il tempo. E richiede… esercizio, esercizio, esercizio… Il medico dice che dovrei… anche mangiare meno, col mio metabolismo lento, ma ho sempre fame.”
“Dagli retta,” disse Lillian. “E mangiati un frutto, o qualcosa del genere.”
“Sono troppo golosa, è questo il problema.”
“Che ne dici se ci facciamo un po’ di strada insieme?” propose Lillian. “Io sto tornando indietro.”
“In quale direzione?”
Lillian le indicò la strada da cui proveniva. “Verso Camden. Abito lì.”
“Non siamo lontani, allora,” commentò Milla, che viveva in Gaisford Street.
“Andiamo, allora,” disse Lillian, invitandola ad avvicinarsi, mentre i Queen attaccavano con FatBottomedGirls.

Randolph? Ciao Randolph, sono Lillian.”
“Ehi, ciao Lilly! Come va con il gruppo? Mi hai chiamato per quello, vero?”
“Sì, ti chiamo per quello,” disse la morfa. “Noi… be’, siamo quasi pronti!”
Che intendi dire con “quasi?” Cosa vi manca? Avete bisogno di qualche…”
“No, Randolph, abbiamo solo bisogno di un po’ di prove in più, ma materialmente siamo… a rodaggio, siamo ok,” disse Lillian, interrompendolo.
“Fantastico!” esclamò il ragazzo al telefono. “Senti, dammi due ore, ok? Il tempo di andare nel locale, controllare due cose e ti so confermare una data per la vostra prima esibizione, Lilly. Va bene?”
“Be’, sarebbe fantastico!”
Con puntualità, quasi esattamente due ore dopo Randolph contattò Lillian. “Ok, Lilly, sono qui con la mia agenda in mano. Quando avreste intenzione di esibirvi?”
“Non so ancora, ma sicuramente prima di Natale.”
“Allora… prima del 25 del mese ho… liberi… il 14 o il 17, se non siete superstiziosi.”
“Si tratta… della prossima settimana!” esclamò la morfa, rendendosi conto della velocità con cui il tempo era passato.
“Troppo in fretta? D’accordo, posso… forse la settimana successiva…”
“No, va bene così, Randolph, non preoccuparti,” lo fermò lei. “Faremo in modo di esserci e di essere pronti.”
“Grandi, grandi… non vedo l’ora di vedervi su quel palco! Avete anche una scaletta, magari? Così posso…”
“Sì, è già pronta, stiamo già provando i brani che ci servono.”
“Fantastico, fantastico… Vi tengo libere queste due date. Tu riesci eventualmente a farmi sapere quando preferireste incontrare il grande pubblico entro domani?”
“Direi proprio di sì, Randolph. Domani ti saprò dire sia questo che l’elenco dei nostri brani. Contento?”
“E me lo chiedi anche?” fece il ragazzo. “Questa è una svolta e-po-cale per il mio locale, non posso non esserlo! Per non parlare poi dell’occasione: il primo gruppo solo di morfi! Ha! Faremo morire tutti d’invidia…”

“No, Missy, non è così questa scala. Ascolta, te la faccio sentire di nuovo...” fece Lillian, accostandosi alla ragazza al pianoforte. Missy sbuffò. “Non essere impaziente...”
“Non sono impaziente, Lillian,” disse l'altra, scostandosi una ciocca di capelli dal volto. “E' che non riesco mai ad eseguire questo passaggio... non imparerò mai, di questo passo.”
“Ma sì che imparerai,” disse Lillian. “Non sei una stupida. Hai solo bisogno di un po' di esercizio. Ora ascoltami e segui le mie dita...”
Entrambe si voltarono, sentendo qualcuno bussare allo stipite della porta. La signora Garrow vi si stagliava in tutta la sua altezza, una mano posata sullo stipite e una lungo il fianco. In quel momento, Lillian si rese conto di quanto Missy le somigliasse: le due avevano gli stessi capelli castani, lisci, lunghi fin quasi al petto, ed entrambe erano molto più alte della media. Solo gli occhi della giovane erano più acquosi e cerulei rispetto a quelli della madre. Misys sbuffò ancora. “Cosa c'è, mamma?” le chiese. Dal suo tono, più che dalle sopracciglia aggrottate, Lillian intuì che fra le due non correva buon sangue, un netto cambiamento rispetto alle lezioni precedenti.
“Nulla,” rispose la donna, con un tono sarcastico. “Ero solo curiosa di osservare la lezione,” disse.
“Prova ad eseguire il passaggio così,” disse la morfa, cercando di ignorare lo sguardo divertito della madre della ragazza. Quindi ripeté il passo della sonata che Missy non riusciva a ripetere correttamente, prima lentamente, poi alla velocità richiesta dal brano. “Senti?” fece poi. “Non devi indugiare troppo sull'ultima nota, o non riuscirai poi a ricollegarti a quelle successive con il tempo corretto.”
Lillian sentì la signora Garrow sospirare, e poi i suoi passi allontanarsi. Si morse le labbra e chiuse gli occhi, per ricacciare indietro la rabbia che quella situazione le metteva addosso. Missy le posò la mano sulla spalla. “Va tutto bene, Lillian?” chiese, guardandola negli occhi.
“No, Missy, non va per niente bene. Ma non è colpa tua,” disse. “Non puoi sceglierti i genitori, giusto?”
La ragazza fece un cenno di assenso. “Mi dispiace, comunque. Hai una allieva scarsa con una madre terribile...”
“Non sei una allieva scarsa, Missy, toglitelo dalla testa. Ma, scusa se te lo dico, tua madre mi dà sui nervi.”
“Lo capisco. Mamma non sopporta i morfi,” sussurrò. “Non capisco perché, ma non può proprio...”
Lillian scosse la testa. “Non fartene una colpa. Dimmi piuttosto,” disse la tasso, cercando di cambiare argomento. “Perché pensi di essere scarsa?”
“Perché ho dovuto cambiare diverse insegnanti, nessuna riusciva a farmi imparare a suonare correttamente. Mamma cominciava a pensare che non ci fossi tagliata, ma io voglio suonare.”
Lillian le cinse le spalle con un braccio, sorridendole. “Brava, è questo il primo passo: volerlo, e volerlo fermamente. Il secondo passo è l'esercizio. Tu non sei affatto negata, Missy: hai solo bisogno di più allenamento, tutto qua. Dimmi la verità: con me come ti sei trovata?”
La ragazza annuì. “Molto bene, Lillian. Sei l'unica con cui non mi sia ancora sentita a disagio,” disse, sorridendo. “Non mi tratti da idiota come le altre istitutrici. E sto imparando qualcosa.”
“Non puoi imparare, se tutti ti fanno sentire che non vali nulla. Tu hai bisogno di sentirlo in te, prima di farlo vedere. Ora basta con la seduta di psicoterapia: qui c'è una sonata per pianoforte che aspetta di essere completata. Che ne dici di darci dentro?”
Quando uscì dall'appartamento dei Garrow, Lillian tirò un sospiro di sollievo. Aveva dovuto terminare con un po' di ritardo, per poter dare più esercizi alla ragazza, e questo le aveva permesso di rimanere dopo che sua madre se n'era andata. Si ravviò i capelli prima di mettere il paraorecchi, quindi prese il cellulare per controllare eventuali chiamate perse.
Nel registro, notò il numero di Randolph, che aveva chiamato pochi minuti prima che lei si preparasse per uscire. Lo ricontattò, avviandosi verso la più vicina linea di metro.
“Pronto?” fece il ragazzo.
“Randolph? Sono Lillian, mi hai chiamato poco fa.”
“Ciao, Lilly. Volevo chiederti se poi avevi fissato...”
La morfa si batté una mano sulla fronte. “Cazzo, hai ragione. Scusa, Randolph, mi era sfuggito completamente.”
“No, non preoccuparti. Per quando riesci a...”
“Ho gi... ho già contattato gli altri membri del gruppo. Preferiremo esibirci il 17, Venerdì. Almeno potremmo provare un altro paio di volte,” disse. Terminata la frase, sentì qualcosa vibrarle dentro: aveva quattro giorni per preparare ogni cosa. Per un attimo le gambe le tremarono per l'emozione.
“Venerdì, fantastico. Perfetto, siete in scaletta. Devo fare allestire cose particolari?”
“Be'... non so, penso di no. Però forse avremmo bisogno di un pianoforte.”
“Vedrò di fare qualcosa. Una volta avevamo un angolo pianobar, quindi forse da qualche parte abbiamo ancora un pianoforte. Va bene verticale o è necessario che sia a coda?”

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