domenica, febbraio 27, 2011

Capitolo 19 – Lillian fa i conti con la realtà

“Dai, dai, aprilo,” disse Mills a Claire.
“Un attimo, non è un file molto piccolo.”
“Come lo hai fatto?” le chiese Jules.
“Mi ha aiutato Fran. A proposito, quando arriva? Manca solo lei,” disse la tigre, mentre finalmente il programma si decideva ad aprire il filmato.
“Mi ha detto che sarebbe stata puntuale,” disse Lillian, sedendosi sul sofa accanto a Mills. “Arriverà… be’, da un momento all’altro.”
“Ok, ragazzi, ci siamo,” disse Claire, poggiando il computer su un tavolino basso posto fra i due divani del suo soggiorno. “Appena arriva Fran partiamo con la visione. Ho fatto del mio meglio: ero vicina al palco, ma come reporter non sono un gran ché. E Fran ha commentato praticamente ogni cosa, quindi sentirete…” Il campanello suonò. “Eccola. Parli del diavolo…”
La tigre fece entrare l’amica, che si sedette subito accanto a Jules, dopo aver salutato tutti. “Pronti?”
“Via,” replicò l’altra, sedendosi a sua volta dall’altro lato del divano.
Lillian e Mills si guardarono, sorridendo. “Sei emozionato?”
“Non è la prima volta che mi rivedo,” disse lui. “Ma è di sicuro la prima per questo concerto, con il nostro gruppo. Quindi sì, direi di sì.”
Il video partì, mostrando Lillian e Corinne sul palco davanti a tutti. Lillian aveva appena iniziato ad introdurre la serata. “Ok,” disse Claire. “Quel vestito ti sta meglio di quanto avessi mai potuto pensare, Lilly. Ma… non mi spiego ancora perché non hai nulla ai piedi.”
“Perché mi piaceva così, Claire. E’… lo stile migliore per quel concerto.”
“Be’, direi che con questo video Mills vedrà tutto quello che non ha ancora potuto vedere,” commentò Jules.
“Mills s’è visto tutta la parte migliore,” replicò Claire. “Soprattutto in Videophone.”
“Claire!” esclamò Lillian. “Mills, non ascoltarla.”
La tigre rise. “Andiamo, avete sculettato per l’intera canzone, e Mills era dietro di voi!”
Il pastore tedesco non disse nulla, limitandosi a continuare a fissare il video. Quando sentì lo sguardo di Lillian bruciargli una guancia si voltò verso di lei, arricciando le labbra in una smorfia divertita. Lei rispose dandogli un pizzicotto sul braccio. “Porco.”
“Però il vestito ti stava benissimo.”
Fran, Jules e Claire esplosero in una risata. “Non so se vorrei più seppellire me o te,” disse invece Lillian.
Alla fine delle riprese, Claire si recò in cucina, prese una bottiglia di birra a testa (scura per Lillian) e le stappò, consegnandole ai suoi ospiti. “Vorrei fare un piccolo brindisi fra di noi. Un brindisi all’avventura di Mills e di Lillian, e del loro gruppo. Che tutti i prossimi concerti siano così belli e coinvolgenti… che Lillian riesca a sfondare con la sua voce, perché se lo merita… che Mills possa sfondare qualche tamburo con le prossime canzoni, a furia di pestarci sopra… e in generale perché sono miei amici e per loro vorrei solo le cose migliori.”
“A Lillian e Mills,” convenne subito Jules.
“Ai London Morph Sextet,” dissero gli altri tre, quasi all’unisono. Tutti alzarono le birre, facendone tintinnare i colli.

Il giorno dopo, Missy chiuse la porta della camera, quindi corse a sedersi accanto a Lillian. “La mamma non c’è, quindi te lo posso dire: sono stata al tuo concerto, Venerdì!” fece, battendo i piedi in terra.
“Davvero?” fece la morfa. “Ti è piaciuto?”
“Oh, è stato magnifico! Non ho mai visto tutti quei morfi riuniti lì, e suonavate così bene… La tua voce, Lilly, oh, Because the Night è stata fantastica… ti invidio… E poi avevate una pianista così… così…” Gli occhi di Missy luccicavano mentre cercava di trovare le parole per descrivere.
“Brava?” disse Lillian, cercando di completare la frase.
“Sì, giusto! Era così brava… aspetta, c’era un pezzo… Psico-qualcosa…”
Psycho Circus…”
“Sì, quella! La partitura, il pezzo suonato al pianoforte, prima delle chitarre, quando hai cantato tu… com’era…” Missy cercò di articolare le prime battute della canzone a mente, senza particolare successo, ottenendo un miscuglio di suoni che erano solo un ricordo dell’originale. “Ah, non ci riesco, non mi ricordo bene il brano… ma diventerò brava e suonerò bene come lei!”
Lillian rise. “Se tua madre sapesse che vedere una morfa suonare ti ha fatto venire questa voglia di migliorarti non ne sarebbe felice!”
Missy scosse la mano. “Ah, lo so. Ma tanto lei non è mai contenta di nulla, quindi non ci sarebbe nulla di nuovo.”
“Fra di voi come vanno le cose?”
La ragazza scrollò le spalle. “Come al solito, direi. Ci ignoriamo. Ed è già qualcosa.”
“Posso fare qualcosa per…”
Missy fece cenno di no. “No, grazie. Me la cavo da sola, Lillian. Grazie, però. Voglio… voglio suonare. Voglio diventare brava e… suonare. Non so, magari in qualche… gruppo? Qualche…”
Lillian annuì. “E lo sarai. Tieni sempre ben saldo in mente quello che vuoi dalla tua vita, quelle che sono le tue qualità, e falle valere davanti a tutto e tutti. E fai esercizio, Missy, tanto esercizio: per la musica è fondamentale.”
“Anche tu ti eserciti?”
“Sì, spesso,” rispose Lillian, pensando a tutte le volte che aveva cantato da sola, in casa: in doccia, davanti allo specchio mentre si prendeva il tempo necessario per pettinarsi, mentre sceglieva i vestiti da indossare per la giornata, mentre cucinava… Ogni occasione era buona per farlo, un po’ per piacere e un po’ per esercitarsi, per mantenersi in allenamento. “Ogni volta che posso.”
“Anche il mio ragazzo… a lui piacerebbe molto se fossi una brava musicista.”
“Lo fai per lui o per te?”
“Per me!” rispose subito Missy, lievemente piccata. “Non sono una boccalona come alcune delle mie amiche, non vivo in funzione sua. E’ solo che anche lui mi…” La ragazza arrossì. “Mi ammira. E pensa che potrei avere un futuro, mi ha detto.”
“E’ della tua età?”
“No, un po’ più grande.”
Lillian annuì. “Attenta a non far mai le cose per gli altri, Missy. Se fai qualcosa devi volerlo per te stessa, non perché qualcuno lo ha voluto per te.”
“Capisco che tu lo stia dicendo per aiutarmi, Lillian, e ti ringrazio, ma so già queste cose,” disse Missy. “Vivo con mia madre, dopotutto.”

“Come è stato il concerto?” chiese Ivan.
“Direi divertente.”
“Mi dispiace di non essere riuscito a venire,” disse il ragazzo, con una smorfia. “Ero curioso di vederti all’opera su qualcosa di diverso da questi spartiti,” fece.
“Be’, avrai una seconda occasione, fortunello,” replicò la morfa. “Dopo Natale ci esibiremo ancora, sempre nello stesso locale.”
Lo sguardo di Ivan s’illuminò. “Davvero? E quando?”
“Oh, credo il 27, o il 28. Non l’abbiamo ancora stabilito.”
“Ci sarò.”
Lillian aggrottò la fronte. “Da… davvero?”
“Che c’è? Non te lo aspettavi? Andiamo, con tutta la curiosità che mi hai messo non potevi non aspettarti che volessi vederti. Ho visto anche che siete stati notati.”
“Cioè?”
“Su internet cominciano a parlare di voi, in giro. C’è un certo tam-tam sul vostro gruppo.”
Lillian si scostò una ciocca di capelli dal volto. “Sì, ho visto. Non mi aspettavo questa pubblicità, sai.”
“E’ normale che ci sia, credo. Dopotutto, siete il primo gruppo che faccia capolino qui a Londra composto solo da morfi. E’ la novità del momento.” Ivan sorrise, quindi accennò ad una scala sul pianoforte. “Non potevi pensare di scamparla.”
“Evidentemente no. Ma ora basta, Ivan. E’ ora di fare lezione. Hai provato quella partit…”
Ivan non le consentì di proseguire: aprì lo spartito e iniziò immediatamente ad eseguire il brano di Rachmaninov che la morfa l’aveva obbligato a provare. Lei rimase in ascolto per la durata del pezzo, posando lo sguardo di volta in volta sulle mani di Ivan, sullo spartito e sul volto concentrato del ragazzo. Somigliava così tanto a suo padre da sembrarne la versione in miniatura, col suo naso diritto, i capelli corti e gli occhi chiari; non avrebbe potuto definirlo propriamente “bello,” ma dovette ammettere a se stessa che Ivan aveva un certo fascino, per essere un ragazzo così giovane. L’età, la loro diversa posizione sociale, oltre che alla diversa specie, erano mattoni che costruivano la barriera che lei sentiva eretta fra di loro; Claire poteva dire quel che voleva riguardo le relazioni con gli esseri umani, ma la realtà dei fatti per lei era ben diversa: morfi e umani erano due specie diverse, separate, ormai distanti, e sperare che fosse l’amore a poterli avvicinare era una follia, una grandiosa scemenza che…
“Come è andata?” le chiese Ivan, fissandola negli occhi con uno sguardo speranzoso, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
“Benissimo,” rispose lei, riscuotendosi. Aveva appena sentito le note, ma non aveva percepito scossoni, steccate e stonature da parte sua. “Mi sembra che… tu sia sulla strada giusta,” disse, distogliendo lo sguardo dal suo volto.
“Lilly? Va tutto bene?”
“Sì, sì, Ivan,” disse lei, voltando pagina sullo spartito. “Volevo però sentire meglio questa parte. Puoi risuonarla?”

La morfa continuò a riflettere sulla questione sulla strada del ritorno verso casa. Attorno a sé non vedeva coppie di morfi e umani insieme. C’erano morfi e morfi e umani e umani, di sessi diversi e con combinazioni diverse, in una gran varietà di colori e abbinamenti, una parata di varietà che in altri momenti l’avrebbe resa allegra, serena… ma in quel momento la sua mente e il suo cuore non riuscivano a non focalizzarsi su una mancanza, su un vuoto: non c’erano coppie formate da morfi e umani.
Non in giro, quantomeno. Lillian pensava che, da qualche parte, qualcuno nella sua situazione ci dovesse essere, ma che evidentemente non usciva allo scoperto. Perché non lo faceva? Paura, forse? Era una cosa logica, dopotutto: c’era già troppo odio nei confronti delle coppie di persone dello stesso sesso, poteva ben immaginare come avrebbero potuto reagire le persone sentendo parlare di coppie formate da persone di specie diversa.
Si sentì sola: sola con un amore che non riusciva a donare in alcun modo, sola con il desiderio di riceverne a sua volta, sola con una speranza che non riusciva a spegnere ma a cui non voleva rassegnarsi per paura di soffrire più del dovuto.
Arrivata a casa, cercò Claire sul cellulare, che risultò però spento. Non aveva voglia di accendere il computer: aveva bisogno di parlare con qualcuno. Aveva bisogno di Claire, unica amica che sperava potesse capire veramente quello di cui aveva bisogno in quel preciso istante. Le inviò un messaggio, chiedendole di potersi vedere il prima possibile.
“Chissà quando risponderà,” si disse.

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