martedì, aprile 26, 2011

Capitolo 24 – Lillian gioca il tutto per tutto

Il quarto giorno del 2011 iniziava sotto i migliori auspici.
Lillian aveva preso una decisione: avrebbe cercato di far colpo su Ivan. Non sapeva se sarebbe stata una buona idea o meno, se avrebbe avuto successo o meno, ma in quel preciso istante la cosa non le interessava. Era più un modo per affermare se stessa, si era detta, che non per cercare realisticamente di approcciarsi a lui, di avere la possibilità di avvicinarsi sul serio a quel ragazzo. Sì, era più giovane di lei, e per di più era un essere umano; ma non riusciva a non pensarci: non riusciva a non pensare a quanto fosse sempre così aperto nei suoi confronti, sempre così gentile e premuroso, non riusciva a non pensare a quanto lei stesse bene assieme a lui, vivendo le ore dell’insegnamento con un piacere che non aveva mai provato con altri… e il cuore che, regolarmente, le si scioglieva nel petto ogni volta che guardava i suoi occhi.
Era una cotta in piena regola, come non ne provava dall’adolescenza.
A guastare la trepidazione di quella decisione c’era quella vocina, sottile sottile ma insistente, che le ripeteva in continuazione che, in realtà, il suo gesto era dettato dalla volontà di sentirsi umana, di sentirsi uguale agli esseri umani, più che dall’essersi realmente invaghita di lui, che l’unico motivo per cui volesse valicare la barriera di specie fra loro due era solo ed esclusivamente per non sentirsi esclusa e isolata ancora una volta. Ma tutte le volte che la sentiva, Lillian si dava da fare per zittirla, per non ascoltarla più e cacciarla il più lontano possibile all’interno della propria mente e del proprio cuore.
In quel preciso momento, ad esempio, stava studiando il miglior modo per colpirlo da un punto di vista estetico, mentre parlava al telefono con Milla.
“E abbiamo cantato, e suonato,” disse Lillian alla scoiattolo. “E ora, che si fa?”
“Il tuo amico, il padrone del locale, non ti ha ancora detto nulla?”
“No,” fece Lillian, aggiustandosi il colletto della camicia. Dopo quattro tentativi, finalmente il riflesso nello specchio le mostrava che l’abbinamento fra camicia bianca e gonna scura lunga fino al ginocchio non la faceva sembrare una anonima segretaria, ma le dava un tocco di professionalità che trovava di classe. Annuì soddisfatta, pensando con una fitta di dolore al cumulo variopinto di maglie, giacche, gonne e camicie che giaceva sul suo letto. “Ancora nulla. Il che è strano, conoscendolo.”
“Forse avrà avuto il suo da fare con il Capodanno, feste varie…”
“Tutto è possibile, Mi, tutto è possibile con Randolph,” sospirò la tasso. “Lo conosco abbastanza da sapere che di lui non si saprà mai nulla in modo chiaro.”
“Dici che c’è solo da aspettare?”
“Vuoi un consiglio? Continua ad allenarti con il violoncello, tesoro. Un modo per riprendere a suonare lo troveremo, te lo prometto.”

“Come hai festeggiato il nuovo anno?” le chiese Ivan, aprendo il suo pianoforte e mettendosi a sedere. C’era molta luce nella stanza, in quella giornata di timido sole, e tutto sembrava tirato a lucido: mobili spolverati, letto rifatto, libri in ordine sulla scrivania. Anche Ivan sembrava essere, in qualche modo, più limpido, quasi luminoso agli occhi di Lillian.
Ma forse era solo un effetto delle sue emozioni, forse si trattava solo di un effetto degli occhiali rosa che si sentiva addosso da qualche giorno ogni volta che pensava alla possibilità di riuscire nel suo intento.
Fece di tutto per reprimere il tremore nelle gambe, incrociandole. “Con alcune mie amiche. Siamo andate a vedere i fuochi sul ponte di Westminster dopo una pattinata sul ghiaccio. Tu?”
“Festa a casa di amici. Sai pattinare?”
“No. Cioè, ci provo, e sulla terra riesco a non cadere, ma l’altra sera sono stata protagonista di diverse cadute spettacolari,” rispose Lillian. Si morse la lingua, conscia del fatto che una frase del genere non era di certo il miglior modo per fare buona impressione su di lui. Era agitata: avrebbe voluto darsi un contegno, darsi un tono, spingersi un po’ di più per potersi avvicinare, almeno idealmente, a sembrare una ragazza perfetta, ma questo avrebbe voluto dire fingere, mentire e non essere se stessa; non voleva rischiare di non farcela, ma non voleva neanche farcela nel modo sbagliato…
“Prima di iniziare, posso chiederti una cosa?” disse Ivan, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
“Tutto quello che vuoi.”
“Hai un appuntamento?” le disse Ivan, squadrandola con la fronte aggrottata.
“Perché?” chiese lei, sperando che la perplessità che gli leggeva in volto non fosse qualcosa di negativo.
“Perché sei… elegante. Molto elegante, direi.” Il ragazzo sorrise. “Stai bene così. Chi è il fortunato?”
Lillian cercò di contenere l’imbarazzo ravviandosi i capelli con una mano e pettinandoli lungo un lato del volto, esponendo il collo. L’aveva visto fare in mille scene da film, e la cinefila in lei non vedeva l’ora di poterlo ripetere, nella ovvia speranza che funzionasse sul serio. “Oh, nessuno. Non ho un appuntamento, Ivan, davvero. Mi andava solo di vestire bene, oggi.”
“O-kay. Capisco,” fece lui, riservandole un’ultima occhiata indagatrice prima di aprire lo spartito. “Oggi andiamo sul classico?”

Seduta in casa al tavolo del soggiorno, ingannando il tempo prima di preparare la cena, Lillian scriveva su FaceBook, sfogandosi.

Su FaceBook:
Lillian Edgecombe: Perché a voi uomini basta esistere per farci cadere in brodo di giuggiole, mentre noi donne dobbiamo sempre sudare sette camicie per farvi capire che esistiamo? Non è giusto…
Claire Hogarth: Lilly, è una questione di cervello: loro sono più semplici di noi.
Lillian Edgecombe: Quindi dici che è colpa loro se non ci arrivano?
Claire Hogarth: E’ colpa del loro cervello semplice. Sai, due neuroni fanno fatica a cogliere certe sfumature, certe cose…
Kevin Clarken: @Claire: come maschio mi sento offeso. Mi dovete delle scuse.
Claire Hogarth: @Kev: ma neanche per sogno! Siamo noi quelle offese da millenni di trattamenti idioti. Il tuo argomento non è valido, quindi niente scuse, bello.
Kevin Clarken: Un mazzo di fiori di riconciliazione?
Lillian Edgecombe: @Kev: sarebbe un bel pensiero, sì. :)
Lillian Edgecombe: Suonano al citofono. Arrivo subito.

“Randolph?” fece Lillian, sorpresa di vedere il suo amico alla sua porta con un gran mazzo di rose gialle. “Devo… c’è qualcosa che devo sapere?” chiese, guardandolo da sopra gli occhiali.
“Posso entrare, Lilly? Ho una notizia della massima importanza, per te e i tuoi amici.”
Il cuore di Lillian rallentò, la tassa tirò un sospiro di sollievo. “Entra pure, non stare sulla porta.”
“Grazie,” disse Randolph, entrando e posando sul tavolo del soggiorno i fiori. “Ho interrotto qualcosa?”
Lillian sorrise. “No, assolutamente. Stavo passando un po’ il tempo.”
“Bel vestito. Appuntamento galante?” fece Randolph, alludendo alla combinazione che Lillian ancora indossava.
“Perché una donna deve per forza avere un appuntamento per vestirsi bene?” replicò la morfa, cercando di mascherare l’imbarazzo con una finta indignazione. “Volevo solo… valorizzarmi un po’.”
“Be’, ti riesce bene, Lilly.”
Lei sorrise. “Grazie. Piuttosto, direi che non capita tutti i giorni di trovare un uomo alla tua porta con delle rose in mano. Anche se io non avrei mai portato delle rose gialle.”
“Che hanno di sbagliato?”
“La rosa gialla significa infedeltà, invidia e vergogna. Non siamo fidanzati, quindi non avrei pensato ad infedeltà, ma l’invidia e la vergogna…”
Randolph  rise di cuore. “Sono una frana totale, Lillian, lo sai. Forse è per questo che sono single! Ma… bando alle chiacchiere, direi, non sono qui per parlare del linguaggio dei fiori.”
“Mi dicevi di aver notizie per il gruppo,” disse la morfa, osservandolo con attenzione. Il ragazzo era rigido, ma era palese che stava semplicemente cercando di trattenersi. “Ripeto: c’è qualcosa che devo sapere? Se sono brutte not…”
“Brutte notizie? Lillian, siediti, per favore.”
“Randolph, sinceramente, non ho voglia di cose plateali,” sbottò la morfa. “Oggi sono nervosa. Quindi, per favore: vai al sodo,” gli fece, stringendo le mani a pugno per enfatizzare la frase.
“Ho deciso di rendervi un gruppo fisso nel mio locale.”
Lillian afferrò una sedia e si sedette al tavolo, appena prima che le gambe le iniziassero a tremare.
“Te l’avevo detto di sederti,” le fece l’altro.
“Ripetilo.”
“Ho deciso di rendervi un gruppo fisso nel mio locale,” ripeté Randolph, divertito, sedendosi a sua volta. “Fisso, Lillian, fisso. Una volta al mese, o giù di lì. Un concerto al mese, con una piccola offerta personale.”
“Stai scherzando, vero?”
Il ragazzo aprì le braccia. “No! Perché dovrei farlo, scusa? Non prenderei mai in giro un’amica.”
“Perché non ci credo, ecco perché.”
Randolph scosse la testa. “Ho passato l’ultimo giorno dell’anno a fare i conti degli incassi del locale. Nelle due date dei vostri concerti ho avuto un picco di introiti senza pari con il resto dell’anno, Lillian. Siete diventati… un piccolo punto di riferimento. Oh, e ovviamente non sto a parlarti delle richieste per altre esibizioni.
“Lillian,” continuò, avvicinandosi con la sedia alla morfa. “Siete il primo gruppo di soli morfi qui a Londra. Non so altrove, ma qui, nella Grande Città che Conta, siete una cosa unica. Avete iniziato a guadagnarvi una certa fama, anche al di fuori dell’ambiente morfo. Vogliono tutti sentir suonare la scoiattolo col violoncello e cantare il tasso e il licaone.”
“Stai descrivendo uno zoo,” rispose lei, inarcando un sopracciglio.
“Scusa. Ma sai cosa voglio dire, no? Siete importanti. E voglio, anzi, pretendo, visto che ve lo meritate, che lo siate ancor di più. Voglio investire su di voi.”
“Cosa vuoi dire?”
“Ti ho già detto dell’offerta personale, no?”
“…no,” fece Lillian, rabbrividendo.
“Ho pensato di devolvervi una parte dei guadagni delle serate.”
“Ecco, ora sono contenta di essere seduta.”
Randolph infilò una mano nella tasca della giacca e ne estrasse un foglio ripiegato in quattro. Lo aprì, lo distese sul tavolo e lo porse a Lillian. “Ho… messo nero su bianco qualcosa su questo foglio. Facciamo finta che sia un contratto, va bene? Tu ora lo porti ai tuoi amici, al resto del tuo gruppo, e decidete se firmarlo o meno, d’accordo? E’ ovvio che non accetterò un “no” da parte di una delle… principali promesse della musica morfa londinese, mi sembra chiaro.”
“Tu sei impazzito…” fece Lillian, scorrendo il “contratto.” “Il dieci per cento della rendita per ogni serata di esibizione?”
“Così, a spanne. Non è matematicamente il massimo, dovrei magari ricontrollare, ma in linea di massima pensavo ad una cifra del genere, sì. Poi ci si può accordare, se volete di più…”
“No, Randolph, non posso accettare,” rispose subito lei, piegando il foglio e porgendolo di nuovo al ragazzo. “E’ troppo. E… e poi non sono sicura che riusciremo a produrre una serata al mese. Significa molte prove, significa cercare nuove canzoni… Abbiamo altre vite, oltre ai concerti e alle prove, Randolph, non è una cosa pratica per noi, capisci?”
“Oh, sì, capisco perfettamente,” replicò lui, sorridendo e restituendo alla morfa il foglio. “Capisco che sei confusa e troppo umile e che non puoi prendere decisioni a nome dell’intero gruppo,” fece poi. Lillian si morse le labbra, rendendosi conto che, almeno per l’ultima parte, Randolph aveva ragione. “Quindi, ti rinnovo l’invito: mostralo agli altri, cazzo. Parlatene. Se proprio non siete d’accordo su alcuni punti potremo ripensarci, ragionarla diversamente, tutto quello che volete, ma, Lillian, per favore, riflettici.
“Non è solo una questione di introiti, Lillian, è una questione di… Lo sai quanta fatica ho fatto a far capire che il mio era un locale fatto anche per voi morfi, in un periodo in cui nessuno o quasi vi voleva fra le palle. Io voglio voi morfi nel mio locale, siete i clienti migliori che potessi desiderare, e fra i morfi ho i migliori amici che conosca, te compresa, Lilly. Ora ho… abbiamo… fra le mani e le zampe un’opportunità unica: farvi conoscere, far vedere, far capire che i morfi sanno fare grandi cose, e che se non emergono è perché nessuno gliene dà la possibilità. Io voglio darvela, Lillian, voglio farvi tirar fuori le palle, gli artigli e le zanne, e voglio che le suoniate a tutti noi umani qua fuori, e davvero, morirebbe un pezzo di me se i London Morph Sextet non volessero fare tappa fissa nel mio locale.
“Ma ti giuro che, se lo farete, se accetterete quello che posso offrirvi, mi renderete una delle persone più felici del mondo. Lillian, gli vogliamo fare il culo insieme?” concluse, porgendole la mano.
Lillian considerò quel palmo sollevato, quella mano aperta verso di lei, per qualche attimo, ponderando il discorso di Randolph. Poi il suo volto si aprì in un gran sorriso e prese quella mano fra le sue. “Gli faremo il culo insieme, Randolph, va bene.”

0 commenti:

Posta un commento