venerdì, aprile 29, 2011

Capitolo 25 – Lillian subisce una grande perdita

“Ci siete tutti? Bene, mettetevi seduti, mi raccomando, perché vi assicuro che questa è forte,” annunciò Lillian al gruppo al gran completo, la sera successiva, nella rimessa di Nicholas. Non aveva accennato nulla a Mills, che pure l’aveva accompagnata: era rimasta in religioso silenzio per l’intero tragitto, ignorando le domande del cane.
“Sono ore che ci tieni sulle spine, Lilly,” fece quest’ultimo. “Dicci tutto.”
In tutta risposta, Lillian estrasse dalla tasca il “contratto” che Randolph le aveva consegnato e lo porse al cane, che lo studiò per qualche istante, prima di rivolgere uno sguardo perplesso alla tasso. “E quindi? Cos’è?”
“E’ un contratto, ragazzi,” iniziò Lillian. “Ieri sera è venuto da me Randolph, con delle gran rose gialle e queste… notizie per noi. Ve la faccio breve: ci ha chiesto di diventare un appuntamento fisso per il suo locale, una volta al mese, ed è anche disposto a girarci una percentuale sui guadagni!”
“Stai scherzando, vero?” le chiese Corinne. Ma l’enorme sorriso che era stampato sul volto di Lillian le fece capire che così non era. “Da… quegli occhi che brillano mi dicono di no. Non stai scherzando. Cazzo, Lillian, non stai scherzando?”
“No, ragazzi!” esclamò lei. “Anche io non potevo crederci, poi Randolph mi ha tirato fuori quel foglio e mi ha confermato tutto. Vuole darci una possibilità, crede in noi e in quello che possiamo fare, e vuole, anzi, pretende che riusciamo ad essere ospiti fissi da lui.”
“Una volta al mese?” chiese Nicholas, che non aveva ancora voluto vedere il contratto, mentre gli altri vi si erano fiondati sopra. “Sei sicura?”
“Sì, Nicholas.”
“Uhm,” fece il topo, strofinandosi il muso. I suoi occhi bassi e socchiusi indicarono alla morfa che stava rimuginando qualcosa. “Non lo so… vuol dire nuove canzoni ogni mese. Abbiamo avuto fortuna, è vero, ma siamo realistici: non capiterà sempre, anzi, probabilmente non ricapiterà quasi più di essere in una sintonia… così perfetta come la prima volta. Impiegheremo molte prove, e questo significa investire molto tempo in questa cosa.”
Lillian annuì. “Sì, lo so. Gli ho fatto presente questa cosa, ho avuto anche io la stessa perplessità, ma… be’, io dico di provare, ragazzi,” concluse, incrociando le braccia. “Sono fiduciosa. Se poi non dovesse andare, almeno non avremo lasciato nulla di intentato, no?”
Corinne alzò gli occhi dal foglio, annuendo vigorosamente. “D’accordissimo, per me si può fare, anzi, si deve fare. Dobbiamo rivederci e portare idee per nuove canzoni, nuove cose, riconcentrarci…”
“Frena,” le fece Mills. “E’ tutto molto bello, Lilly, davvero. Anche se non sembra, sono felice…”
“No, Mills, non sembra.”
“…ma la cosa non mi convince, così come non convince Nicholas. Vogliamo provarci? Va bene, ma prima voglio parlare con Randolph.”
“Tu e lui? Tete à tete?”
“No, lui con tutti noi,” replicò il pastore tedesco. “Anche io ho avuto un gruppo, e so quanta fatica si facesse per esibirci e tutto il resto, e ti assicuro che tutta questa… generosità così di colpo non mi piace. Sono onesto, davvero.”
“Ma perché non ti fidi di lui?” chiese Lillian. “Sì, ha messo subito in chiaro che lo avrebbe fatto anche per i soldi, ma non ci vedo nulla di male. Dopotutto, gestire quel posto è il suo lavoro, da qualche parte dovrà pur guadagnare.”
“Giusto,” interloquì Milla. “E se nel frattempo fa anche qualcosa di positivo per noi, che male c’è?”
“Non sto dicendo che Randolph sia disonesto, ragazzi,” cercò di spiegarsi Mills. “Non lo penserei mai, anche perché non penso sia in grado di mentire, per quel che so di lui. Non così bene, almeno, da nasconderlo a Lilly. Il punto è che mi sembra semplicemente strano che Randolph abbia avuto questo enorme slancio di generosità – perché, ragazzi, guardate che, se davvero ha avuto gli incassi di cui ha parlato a Lilly, il dieci per cento che ne verrebbe a noi non saranno noccioline – nei nostri confronti. Va bene, in quelle date il suo locale ha avuto un record di incassi; va bene, ha fatto sì che ci intervistassero e che chiedessero sempre di poterci rivedere; ma… voglio comunque essere sicuro al centodieci per cento che sia tutto genuino. Non ci vedo nulla di male nella cosa, no?”
“Va bene, san Tommaso,” disse Lillian. “Chiameremo allora qui Randolph, nei prossimi giorni, e chiariremo insieme ogni cosa. Lo ricontatterò io oggi stessa, magari, così da avere rassicurazioni su… su quando questo avverrà, insomma. L’idea vi piace, però?”
La risposta dei ragazzi fu di pieno apprezzamento, in vario grado e in cinque diverse declinazioni.
Non poteva sperare di meglio: più considerava e rifletteva sulla possibilità concreta di realizzare le idee, le speranze che aveva sempre avuto sul gruppo, più si sentiva forte, energica, felice. Anche perché in quel modo avrebbe finalmente potuto fare qualcosa in più per se stessa: riuscire a mostrare a tutti di cosa era capace, chi fosse veramente Lillian Edgecombe, quanto e cosa potesse cantare, e quale forza avesse il suo gruppo. Tornando a casa a piedi, mentre ponderava cosa avrebbe potuto dire a Randolph riguardo la breve riunione di quel giorno, strinse più volte le mani a pugno, come a voler contenere l’energia che sentiva nascere in lei.

Quella sera, su FaceBook:
Lillian Edgecombe: Oddio, che passo che stiamo per fare, tutti assieme… sarà più lungo della gamba? E come ci muoveremo insieme? Sono così eccitata e confusa che non riesco a non pensare a cose ottimistiche… vi bacerei tutti, se foste qui con me!
Kevin Clarken: Anche me?
Lillian Edgecombe: Sì, Kev, anche te!
Claire Hogarth: @Kev: ci stai provando o cosa?
Kevin Clarken: Sono già accompagnato, ragazze, non pensate male.
Jules Penderton: @Kev: tanto non ci crede nessuno. Nemmeno lei.
Claire Hogarth: @Jules: non fare il pesante…
Jules Penderton: E, comunque, Lillian… vi auguro di farcela, vi meritate di farcela!

Il Giovedì successivo, Lillian si recò a casa di Ivan per le solite lezioni. Aveva nuovamente indossato la combinazione di camicia e gonna della volta precedente, ma quel giorno teneva i capelli legati dietro la nuca in un intreccio complesso.
Il ragazzo l’attendeva, come al solito, nella sua stanza. Era in piedi davanti al letto, il telefono sull’orecchio, l’espressione sconvolta e preoccupata. Le fece cenno di attendere sulla soglia, mentre proseguiva la chiamata. “Dove… sì, ma… l’hai visto tu? E hai chiamato qualcuno? Sono… ok, d’accordo. Ma chi è? Un morfo? Ma ti hanno già detto nulla? Dicevano “Christiana?” Ah, “Christian?” Ma chi è? Ascolta, Dave… Dave, mi senti? Ehi, ascolta, io dovrei avere lezioni di piano. Appena finisco sono da te, amico, va bene? Ora calmati, lascia che se ne occupi la polizia, va bene? Va a berti qualcosa, guardati un film, insomma, calmati, mentre mi aspetti, va bene? Ciao,” disse, concludendo la chiamata.
Lilian si era portata una mano al cuore, pervasa dallo stesso nervosismo che Ivan emanava. “Cos’è successo?”
“Un mio amico ha… ha visto un corpo nel Tamigi, poco fa.”
“Un… un corpo?”
“Sì, è fuori di se, ma è… è logico, ha chiesto se-se posso poi andare da lui…”
“Un morfo, hai detto?”
“Sì, un morfo.”
“Senti, Ivan,” fece Lillian, i cui sensi percepivano qualcosa di molto, molto preoccupante nell’aria. “Se vuoi andar là, io ci sto. Chi se ne frega della lezione, è più importante. La recupereremo, se vuoi.”
“Davvero? Mi accompagneresti?” chiese Ivan, sgranando gli occhi.
“Volentieri, davvero. Spero solo non dovrai sorreggermi se sverrò…”
“Prendo le chiavi e andiamo. Grazie, Lilly, davvero.”
La banchina davanti il Royal Hospital, lungo il Tamigi, era ingombra di giornalisti, forze di polizia e curiosi. Ivan impiegò diverso tempo per trovare un parcheggio adatto per la sua macchina, comunque piuttosto distante dal luogo dell’incidente, che i due raggiunsero a piedi, a passo svelto, dettato dall’impazienza e dal nervosismo.
“…non hanno ancora rilasciato dichiarazioni,” stava dicendo un giornalista in giacca e cravatta, il ciuffo scompigliato dal vento che aveva iniziato a tirare. “Ma le informazioni che sono trapelate indicano che la vittima, un morfo…”
“Là c’è il mio amico, Lilly. Vado a vedere come sta. Ti trovo qui?”
La morfa annuì, cercando di captare ciò che il giornalista stava raccontando. “Va bene. Ti… ti aspetto.”
Senza dire una parola, Ivan si allontanò, lasciandola sola. “…di circa trent’anni, una lince, un maschio di nome…” L’uomo lesse un appunto che gli venne passato. “Christian Harrington, affiliato al…”
Il cervello di Lillian cessò di funzionare per qualche istante appena udito il nome. Non potevano esserci alternative: un morfo lince, un maschio di circa trent’anni, chiamato Christian Harrington. Quante persone così potevano esistere a Londra?
Si portò le mani alla bocca, tremando, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Quando si sentì toccare le spalle si voltò di scatto, facendo trasalire Ivan. “Lillian? Ehi, Lilly, tutto bene?”
“Come… come sta il tuo amico?”
“Meglio. L’ho mandato a casa. Tu, piuttosto…”
“Andiamo via, Ivan, per favore. Andiamo in macchina.”
Lui annuì, accompagnandola in silenzio, una mano sulla spalla. Appena entrati, Lillian si tolse gli occhiali e si lasciò andare ad un pianto silenzioso, sconvolto di tanto in tanto da singhiozzi così forti da dare l’impressione ad Ivan che potessero farle esplodere il petto da un momento all’altro. Il ragazzo rimase ad osservarla mentre piangeva, incerto sul da farsi.
“Lo conoscevo,” disse Lillian, quando ebbe ripreso le forze. “Da anni. Era mio… amico.”
“Mi dispiace…”
“Lavorava… aveva un gruppo… contro le discriminazioni. Viveva in Canada. Era qui per… per un convegno. Era passato… al mio ultimo concerto… E ora… e ora…” Digrignò i denti, strinse i pugni, strinse le palpebre fino a schiacciare via ogni lacrima. Dopo il pianto, una forte rabbia si impadronì di lei. “Chris non era uno sprovveduto. Non sarebbe mai caduto nel Tamigi da solo. Ne sarebbe uscito, sa nuotare. Da giovane aveva vinto… tutte le gare di nuoto della scuola. Non era un idiota. Sapeva che… qualcuno avrebbe fatto qualcosa…”
Ivan aggrottò le sopracciglia. “Cosa vuoi dire?”
“Qualche giorno… qualche giorno prima di Capodanno ci siamo visti a pranzo. Mi ha… mi ha messo in allarme, ha detto che… gli HRS avrebbero tentato di iniziare l’anno… piuttosto in grande.”
“Come lo sapeva?”
“Aveva le sue fonti. Voleva che stessi al riparo. Voleva che stessi al riparo io. Ma sono stati loro, lo so. Hanno preso di mira lui. Non è… non è giusto…” disse, mentre le lacrime riprendevano a scorrere. “Figli di puttana… non ha mai fatto male a nessuno… a nessuno…”
Ivan l’abbracciò. Istintivamente, Lillian si accucciò contro di lui, lasciando che i singhiozzi facessero il loro corso. Non seppe dire per quanto tempo avesse pianto su di lui in quel modo, ma quando fu più calma gli fece cenno di lasciarla andare. Si asciugò gli occhi. “Scusa, ti ho bagnato tutta la maglia.”
Ivan le sorrise. “Non fa niente.”
“Stronzi,” concluse. “Stronzi, stronzi, stronzi.”
“Non puoi sapere se…”
“No, è vero, Ivan, non lo so con certezza, ma penso di saper fare due più due,” disse Lillian, fissando un punto impreciso sul cruscotto. “Penso che domani andrò a… lasciare la mia deposizione alla polizia. Penso gli potrebbe essere utile per… fare qualcosa, insomma.”
“E’ una buona idea,” convenne il ragazzo. “Senti, Lilly…”
“Dimmi.”
“C’è un film che… insomma, stasera… Pensavo che potrebbe essere un buon modo per smorzare la tensione se stasera…”
Lillian sgranò gli occhi. “Mi stai invitando fuori?”
“Sì. Ti va? Magari non è il momento migliore, ma magari chiodo schiaccia chiodo, e ti aiuterebbe forse un po’ a tranquillizzarti.”
Lillian sorrise. “Sei un tesoro, Ivan, grazie. In effetti… forse hai ragione.”
“Allora ti posso passare a prendere io? Dopo le nove?”
“Volentieri,” disse Lillian.
Quando l’ebbe accompagnata a casa, e solo allora, un pensiero colse Lillian con la chiave nella toppa. “Mi ha invitato ad uscire stasera,” si disse, a voce alta, aprendo gli occhi su quel che era successo. “Mi ha… invitato ad uscire. Ivan mi ha invitato ad uscire.” Si voltò, alzando gli occhi al cielo. “Sei stato tu, Chris?” 

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